Matrimonio e fede in Dio: due ambiti separati? La risposta di Benedetto XVI

27 Aprile 2023

Crocifisso e fedi

La secolarizzazione ha portato a concepire la fede e il matrimonio come due ambiti indipendenti. Da qui l’esigenza di ripensare i percorsi di preparazione al matrimonio. Come annunciare la bellezza del “matrimonio sacramento”? Come far comprendere che non basta desiderare l’indissolubilità ma occorre anche impegnarsi perché si realizzi? Alcuni spunti dal Magistero di Benedetto XVI.

Rispondendo a braccio alle domande di alcuni sacerdoti della Diocesi di Roma, il 2 marzo del 2006, papa Benedetto affermò che: “Solo la fede in Cristo e solo la compartecipazione della fede della Chiesa salva la famiglia e, d’altra parte, solo se viene salvata la famiglia anche la Chiesa può vivere (…) Perciò dobbiamo fare tutto ciò che favorisce la famiglia: circoli familiari, catechesi familiari, insegnare la preghiera in famiglia.” 

Si tratta di un programma a tutti gli effetti. 

La famiglia si salva solo se partecipa alla fede della Chiesa. Per i cattolici ciò dovrebbe essere un’ovvietà, eppure non tutti i credenti l’accettano. La seconda parte della frase è, però, spiazzante. Si potrebbe parafrasare così: se, per assurdo, un giorno non dovessero esserci più famiglie cattoliche consapevoli, la Chiesa sarebbe finita. Non solo non avrebbe più senso la sua esistenza, ma, semplicemente, non esisterebbe più. 

Onestamente, quanti membri della Chiesa, anche attivi, hanno mai pensato a quest’implicazione? La “questione famiglia” è perciò centrale per il futuro della Chiesa, cioè per l’annuncio della “notizia Cristo” al mondo che è l’unico motivo, in definitiva, per cui la Chiesa esiste. 

Da questa considerazione scaturisce la terza parte della frase citata. La Chiesa cura la famiglia per continuare ad esistere e vuole continuare ad esistere per continuare ad annunciare Cristo agli uomini del nostro tempo. Dopo decenni di pastorale familiare proclamata, questa verità è entrata nella Chiesa? 

Queste considerazioni mostrano quanto sia importante un tema che già nell’estate precedente il pontefice tedesco aveva affrontato: si tratta di quelle persone che hanno contratto il matrimonio sacramento solo per tradizione senza essere veramente credenti, successivamente hanno visto rompersi il loro matrimonio e hanno deciso di entrare in una nuova unione. A volte può accadere che essi si convertano, ritrovando la fede e scoprendosi esclusi dai sacramenti proprio quando sembra che ne abbiano riscoperto ed apprezzato il loro valore. La questione importante che si pone, allora, è: qual è il ruolo della fede nella celebrazione del sacramento del matrimonio

Se i sacramenti sono segni della fede, che sacramento può essere quello celebrato senza fede? Qual è il “minimo di fede” che si esige per la validità del matrimonio? La questione è stata sollevata a più riprese da Benedetto XVI, a partire da un discorso ai sacerdoti in Val D’Aosta il 25 luglio 2005 all’inizio del suo pontificato e poi ripresa, per esempio, otto anni dopo, in uno dei suoi ultimi discorsi rivolto alla Rota Romana nel 2013. 

Leggi anche: Senza fede, la vita è più complicata. Il magistero di Papa Benedetto (puntofamiglia.net)

La questione è poi esplosa nel sinodo sulla famiglia voluto da Papa Francesco. In quella sede, disse: «Sul piano teologico, la relazione tra fede e matrimonio assume un significato ancora più profondo. Il vincolo sponsale, infatti, benché realtà naturale, tra i battezzati è stato elevato da Cristo alla dignità di sacramento. Il patto indissolubile tra uomo e donna non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Ma se è importante non confondere il problema dell’intenzione con quello della fede personale dei contraenti, non è tuttavia possibile separarli totalmente. Nel caso in cui non si avverta alcuna traccia della fede in quanto tale, né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no». 

In una società cambiata, questi interrogativi risultano fondamentali: oggi, infatti, l’aver ricevuto il battesimo non coincide necessariamente con l’avere fede e ancor meno col praticarla. È da ciò che nasce il problema di quelle persone che riscoprono la fede ma vivono in una seconda unione ovviamente non sacramentale. Ci si rende conto di trovarsi di fronte a due disarticolazioni. La prima tra la fede ed il matrimonio: la secolarizzazione ha portato a concepire la fede e il matrimonio come due ambiti indipendenti. La seconda tra il tema della fede e quello del sacramento che tende a ridurre l’essenza del sacramento alla sua validità soffocando la fede, situazione che, inevitabilmente, può condurre ad un certo sacramentalismo che riduce il sacramento ad un’azione automatica legata, a volte, ad una sorta di rituale magico di buon augurio. 

Bisognerebbe, dunque, riscontrare almeno una certa apertura a Dio e alla sua volontà. 

Giovanni Paolo II era legato alla convinzione che bastasse anche una certa fede implicita e che, per comprendere correttamente la sacramentalità del matrimonio (la sua dimensione soprannaturale) bisognasse iniziare dal comprenderne la sua dimensione naturale, le sue fondamenta antropologiche e il carattere sacro mediante la creazione dell’uomo e della donna ad immagine di Dio: mettere in luce la verità che Dio ha voluto sul matrimonio fin dal principio. Benedetto XVI, pur restando in sintonia con il suo predecessore, ha cercato di dare maggiore spazio alla fede e di comprendere in che modo conciliare il diritto naturale al matrimonio con l’esigenza della fede. 

Parlando alla Sacra Rota nel 2011 tenne a precisare che i nubendi non hanno il diritto a sposarsi secondo la loro personale concezione del matrimonio, ma hanno il diritto di celebrare un autentico matrimonio che preveda il desiderio di sposarsi secondo il progetto divino e che possa esistere una sorta di “verifica” del suo contenuto oggettivo. Il santo padre, in quell’occasione, propose di non rifiutare il sacramento alle coppie non sufficientemente disposte ma di accompagnarle adeguatamente alla scoperta della bellezza del progetto divino. Qui entrano in gioco i percorsi di preparazione al matrimonio che dovrebbero, innanzitutto, essere più lunghi, ed oltre all’annunciare la bellezza del matrimonio sacramento far comprendere che una cosa è desiderare l’indissolubilità ed un’altra è impegnarsi realmente affinché ciò avvenga. La pubblicazione, per volere di papa Francesco, degli Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale costituisce una risposta in piena continuità col suo predecessore. E questa è anche una risposta a chi si ostina a contrappore i due magisteri non scorgendone qualche implicita continuità.




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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