CORRISPONDENZA FAMILIARE

Abbiamo qualcosa da dire. Anche sul lavoro

1 Maggio 2023

Primo maggio. Giornata dei lavoratori. Le riflessioni si sprecano, le piazze si riempiono, meteo permettendo. A parte il consueto messaggio della Presidenza CEI, la Chiesa appare silente, come se non avesse niente da dire su una dimensione che invece innerva la vita dell’uomo, da cima a fondo. Un ambito essenziale della vita al quale dedichiamo buona parte del nostro tempo e delle nostre energie. 

Alcuni giorni fa, una parrocchia di Berlino ha accolto gli attivisti di Ultima generazione, manifestando piena condivisione per il loro impegno sociale e mettendo a loro disposizione la chiesa anche per consumare il pasto, rigorosamente vegetariano. Un’accoglienza a senso unico che assume la forma di un’acritica adesione ad una delle tante ideologie del nostro tempo. 

Nei secoli passati la Chiesa ha avuto la forza di seminare nella società civile una cultura e una prassi ispirata al Vangelo. Tutto questo non solo ha dato un volto più umano al vivere civile ma ha permesso anche di considerare i giorni dell’esistenza solo come premessa di una vita che trovava il suo pieno compimento nella beata eternità. Negli ultimi decenni la Chiesa sembra andare a rimorchio del mondo, con un’immagine poco ecclesiale ma assai efficace, potrei dire che il nostro export è sempre più limitato mentre facciamo entrare nel pensiero e nella prassi della vita ecclesiale tanta mercanzia che inquina il Vangelo. Abbiamo dimenticato quello che hanno scritto i Padri conciliari: 

“La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l'uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; ne è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi. Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana” (Gaudium et spes, 10).

Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, quando si percepiva la stringente necessità di riscrivere la storia per evitare il ripetersi ciclico dei conflitti, la Chiesa di Pio XII non solo partecipava alla vita diplomatica ma si preoccupava di promuovere una pastorale d’ambiente per portare il Vangelo nei vicoli della storia, lì dove l’umanità vive e opera, dove le gioie sono spesso intrecciare con la fatica. Una Chiesa che si pone accanto all’uomo, condivide la sua quotidianità. Nacquero così le associazioni di categoria: i medici cattolici, gli insegnanti cattolici, i giuristi cattolici e perfino gli imprenditori cattolici. Associazioni tuttora presenti ma sempre meno visibili. Questo movimento, favorito dalla gerarchia ecclesiale, manifestava il desiderio di partecipare a quel grande sforzo comune di rinnovare la vita della società. Insieme a tutti gli altri, senza pregiudizi e preclusioni, ma anche senza perdere la specificità della nostra proposta. È questo il criterio che poi troviamo chiaramente affermato nel Vaticano II: “anche se non ha sempre pronta la soluzione per ogni singola questione, desidera unire la luce della rivelazione alla competenza di tutti” (Gaudium et spes, 33). 

Di tutto questo oggi non c’è traccia. In effetti, la dimensione caritativa assorbe tutto il nostro impegno sociale. Sugli altri temi abbiamo poco o nulla da dire. Non mancano gli intellettuali cattolici che sfornano riflessioni serie e approfondite sulle diverse tematiche ma si tratta di un’élite culturale che non entra nella vita ordinaria delle nostre parrocchie e, a parte le solite e lodevoli eccezioni, non incide nella coscienza di fede dei cattolici e non modifica la prassi pastorale ordinaria. La parrocchia ha altre preoccupazioni. Se qualcuno decide di impegnarsi nel sociale – come volontario di un’associazione o nelle vesti di un sindacalista – lo fa a titolo personale, come se fosse qualcosa di privato. È il sintomo di un disagio. La Chiesa fatica ad entrare in gioco. 

E invece dobbiamo immischiarci perché proprio in questi ambiti si decide la vita dei singoli e il futuro dell’umana società. Per stare al tema di oggi, sarebbe interessante ricordare che quarant’anni fa Giovanni Paolo II, in un documento tutto dedicato al lavoro, ha detto che “il lavoro umano è una chiave, e probabilmente, la chiave essenziale, di tutta la questione sociale” (Laborem exercens, 3). A partire dal lavoro possiamo comprendere la specifica responsabilità che Dio ha affidato all’uomo. L’uomo realizza se stesso nella misura in cui s’impegna a plasmare il mondo secondo il progetto di Dio. San Paolo afferma che “tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,22). È una storia incompiuta e perciò piena di contraddizioni. Spetta all’uomo, con l’aiuto di Dio, orientare il cammino dell’umanità nei sentieri della eternità. 
Il mondo, ha detto don Tonino Bello, “non è il ripostiglio dei rifiuti” ma “il termine ultimo dei progetti di salvezza”, è “il chiodo fisso di Dio, l’idea dominante che gli turba il sonno e non gli fa chiudere occhio”. Egli cerca la salvezza di tutti e vuole dare a tutti la possibilità di scoprire l’infinito (Cirenei della gioia, Cinisello Balsamo 1996, 23-28). E ci chiama collaborare con Lui. Chiama tutti. E ciascuno ha una parte in questo mondo sempre più complicato, in questa vicenda “stupenda e drammatica”, per usare le parole di Paolo VI. Se scegliamo di stare dentro questa storia portando la luce di Dio, siamo certi di dare un contributo non marginale per orientare i passi verso il bene comune.




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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