VITE DEI SANTI

San Leopoldo Mandić: una vita spesa nel confessionale

di Emanuela Molaschi

Oggi è indicato come modello dei confessori. Di lui si legge: “Nella confessione esercita un fascino straordinario per la grande cultura, per il fine intuito e specialmente per la santità della vita. A lui affluiscono non solo popolani, ma specialmente persone intellettuali e aristocratiche, a lui professori e studenti dell’Università e il clero secolare e regolare”. Stiamo parlando di San Leopoldo Mandìc, patrono dei malati di tumore.

Leopoldo nacque a Castelnuovo di Cattaro il 12 maggio 1866, penultimo dei sedici figli di una famiglia cattolica croata. Al battesimo ricevette il nome di Bogdan Ivan (Adeodato Giovanni).

Frequentando l’ambiente dei frati, in occasione delle funzioni religiose e del doposcuola pomeridiano, il piccolo Bogdan manifestò il desiderio di entrare nell’Ordine dei Cappuccini. Venne quindi accolto nel seminario cappuccino di Udine. Vestì l’abito francescano, ricevendo il nuovo nome di “fra Leopoldo” e impegnandosi a vivere la regola e lo spirito di san Francesco d’Assisi. 

Il 20 settembre 1890, nella basilica della Madonna della Salute a Venezia, fu ordinato sacerdote. 

Leopoldo Mandić aveva una buona formazione filosofica e teologica e per tutta la vita lesse i padri e i dottori della Chiesa. Sentiva di dover promuovere il riavvicinamento tra i cristiani orientali e la Chiesa cattolica. Preparandosi al possibile ritorno nella sua terra come missionario, studiò diverse lingue slave e un po’ di greco moderno. Chiese di partire per le missioni d’Oriente nella propria terra, tuttavia, la salute cagionevole non permise ai superiori di accettare. Infatti, a causa dell’esile costituzione fisica e di un difetto di pronuncia, non poteva dedicarsi alla predicazione. I primi anni passarono nel convento di Venezia, come addetto al confessionale e agli umili lavori del convento. Fece un po’ di esperienza da questuante di porta in porta. Ricevette, in seguito, l’incarico di presiedere il piccolo convento cappuccino di Zara in Dalmazia, ma venne presto richiamato a Bassano del Grappa (Vicenza), come confessore. 

Nel 1905 tornò alla sua missione come vicario del convento di Capodistria, nella vicina Istria, dove si rivelò subito consigliere spirituale apprezzato e ricercato.

Padre Leopoldo arrivò poi a Padova: era stato mandato presso il convento di piazzale Santa Croce. Nell’agosto del 1910, fu nominato “direttore degli studenti”. Erano giovani frati cappuccini che, in vista del ministero sacerdotale, frequentavano lo studio della Filosofia e della Teologia. Padre Leopoldo, che insegnava Patrologia, si distinse per la sua benevolenza, che qualcuno riteneva eccessiva e in contrasto con la tradizione dell’Ordine. Nel 1914, padre Leopoldo fu improvvisamente sollevato dall’insegnamento. Questo, per lui, fu un nuovo motivo di sofferenza. Così, a partire dall’autunno del 1914, il 48enne padre Leopoldo, fu inviato a svolgere esclusivamente il ministero della confessione. Le sue doti di consigliere spirituale erano note da tempo, e, nel giro di qualche anno, divenne confessore ricercato da persone di ogni estrazione sociale, i quali, per incontrarlo, arrivavano anche da fuori città.  

Padre Leopoldo aveva mantenuto la cittadinanza austriaca, nella speranza che i documenti d’identità favorissero un suo ritorno come missionario in patria. Questo si muta in problema nel 1917, a causa della rotta di Caporetto. Come altri “stranieri” residenti in Veneto, in quell’anno, fu indagato dalla polizia. Visto che non intendeva rinunciare alla cittadinanza austriaca, venne mandato nel Sud d’Italia. Nel corso del viaggio, arrivato a Roma, incontrò papa Benedetto XV. Al termine della Prima guerra mondiale, Leopoldo fece ritorno a Padova. Durante il viaggio visitò i santuari di Montevergine, Pompei, Santa Rosa a Viterbo, Assisi, Camaldoli, Loreto e Santa Caterina di Bologna.

Nel 1919, tornato a Padova, riprese il proprio posto nel confessionale. Gli Annali della Provincia Veneta dei Cappuccini riportano: 

Nella confessione esercita un fascino straordinario per la grande cultura, per il fine intuito e specialmente per la santità della vita. A lui affluiscono non solo popolani, ma specialmente persone intellettuali e aristocratiche, a lui professori e studenti dell’Università e il clero secolare e regolare”

Nel Natale del 1923 padre Leopoldo, lasciando il sogno di lavorare sul campo per l’unità dei cristiani, tornò di nuovo a Padova. Qui restò per tutta la vita, dedicandosi al sacramento delle confessioni e alla direzione spirituale

All’inizio di aprile 1942 fu ricoverato all’ospedale, a causa di un tumore all’esofago che non sapeva di avere. Rientrato in convento continuò a confessare. Com’era solito fare, il 29 luglio di quell’anno, confessò senza sosta, trascorrendo poi gran parte della notte in preghiera. Il 30 luglio, preparandosi alla santa messa, svenne. Riportato a letto, ricevette il sacramento dell’unzione degli infermi. Pochi minuti dopo, mentre recitava le ultime parole della preghiera Salve Regina tendendo le mani verso l’alto, spirò. 

La notizia della morte di padre Leopoldo si diffuse rapidamente a Padova. Per un paio di giorni una grande folla andò al convento dei Cappuccini per rendere omaggio alla salma del confessore, già santo per molte persone. Il 1° agosto 1942, ebbero luogo i funerali nella capiente chiesa di Santa Maria dei Servi. Venne sepolto nel Cimitero Maggiore di Padova, ma nel 1963 il corpo venne traslato in una cappella presso la chiesa dei Cappuccini di Padova (Piazza Santa Croce).

Nell’anno 2020 San Leopoldo Mandić diventa ufficialmente il patrono dei malati di tumore.

Era un frate piccolo, fragile, con il saio francescano cappuccino tutto consumato e il suo passo lento, appoggiato al bastone, ma ora è una figura sempre più familiare a Padova e nella provincia. Trascorse la vita tra le ore passate in confessionale, quelle in preghiera, soprattutto davanti alla statua della Madonna, da lui chiamata affettuosamente la “Parona”, in dialetto veneto, e innumerevoli ore passate al capezzale di malati gravi. Sapeva cosa volesse dire soffrire, nello spirito e nel corpo.

San Leopoldo continua ad avere fama di taumaturgo, per i molti miracoli che gli sono stati attribuiti anche durante la vita. Lo testimoniano gli ex voto raccolti in diverse stanze. 

San Leopoldo è stato Canonizzato nel 1983 da papa Giovanni Paolo II. Egli lo indicò come modello ai confessori. Papa Francesco ha voluto le sue spoglie in Vaticano, insieme a quelle di san Pio di Pietrelcina nel 2016, durante il Giubileo della Misericordia.

Il primo miracolo di San Leopoldo, riguarda la signorina Elsa Raimondi. Lei fu operata di appendicite ed ernia inguinale il 6 gennaio 1944. Due anni dopo, febbricitante e assalita dai dolori, venne sottoposta ad un altro intervento a causa di una grave forma di peritonite tubercolare. Tornata a casa con prognosi infausta, il parroco del paese le parlò di padre Leopoldo e la esortò a pregarlo.

Il 30 luglio la ragazza cominciò a recitare la novena al cappuccino. Al termine della novena, la Raimondi affermò di aver visto Leopoldo il quale, alla domanda se sarebbe guarita i rispose: «Sì, sì, sì». Il 12 settembre, giornata del malato, nell’ambito degli annuali festeggiamenti del santuario, la malata, fu portata al santuario. Il medico la fece riportare subito a casa, temendo per la sua vita. Verso sera, la giovane, sentì una voce che le ordinava con insistenza di scendere dal letto. Lei ubbidì, dicendo ai familiari: «Non ho più male, non ho più male: sono guarita! Avete visto, padre Leopoldo…».

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Elsa corse in chiesa, seguita da un corteo di paesani che volevano vedere cosa sarebbe successo. La miracolata pregò a lungo inginocchiata davanti al tabernacolo e poi se ne tornò a casa a piedi. In segno di riconoscenza consacrò la sua vita ad assistere gli orfanelli, raccolti nella «Piccola Casa di padre Leopoldo» a Rovigo.

Il secondo miracolo è stato ottenuto dal sano e laborioso Paolo Castelli. La mattina di domenica 4 marzo 1962, tornato da messa, egli sentì dei forti dolori al ventre. Gli venne diagnosticata una perforazione gastrica e fu operato d’urgenza. Nel corso dell’intervento, i medici riscontrarono una trombosi con esteso infarto dell’intestino tenue. Per questo, l’intervento venne sospeso. Non c’era più nulla da fare e, la sera stessa, il parroco gli amministrò l’unzione degli infermi. La moglie di Paolo, da tempo devota di padre Leopoldo, aveva appuntato una medaglietta dell’allora servo di Dio sulla maglia del marito. Nel corso dell’operazione, si era ritirata in cappella a pregare e continuò a farlo, sicura di essere esaudita.

Dopo quattro giorni dall’intervento, l’uomo disse: «Sto male, sto male, muoio!». La moglie, a quel punto, esclamò: «Signore, sia fatta la tua volontà».  In quel momento, lui gridò: «Sono guarito, sono guarito: non ho più niente!». Dopo una notte tranquilla, al mattino, il medico lo trovò clinicamente guarito. Tonato a casa, l’uomo torno al proprio lavoro nei campi.

Dopo questi due miracoli, Papa Paolo VI proclamò Leopoldo Mandić beato il 2 maggio 1976.

Il terzo miracolo, che portò alla canonizzazione di padre Leopoldo, avvenne durante l’anno di grazia 1977. Elisabetta Ponzolotto, sposata con Beniamino Compostrini, fu la beneficiaria.  

Il 15 marzo venne ricoverata a causa di un’influenza cardiopatica. I medici diagnosticarono un’ischemia post-embolica all’arto inferiore sinistro. Le continue cure non funzionarono, ma portarono a un processo cancrenoso alle dita del piede sinistro.

A mezzogiorno del 27 marzo, dopo un consulto, i medici decisero di amputarle la gamba per salvare la vita di Elisabetta. La donna racconta: «Quando i medici mi dissero che, per salvarmi, dovevo sottopormi all’amputazione della gamba, risposi che per il momento non accettavo l’intervento, perché aspettavo una risposta di un mio confidente, e intendevo il beato padre Leopoldo. Intensificai la preghiera al beato, tenendo sempre la sua immagine con la reliquia sulla gamba dolorante. Mi affidai completamente a lui con la massima fiducia, anzi con la certezza di essere esaudita. Ripetevo continuamente: “Padre Leopoldo, aiutami, aiutami”. Egli mi esaudì. Ad un certo momento, mentre l’infermiera era uscita ed ero sola nella camera, seduta sul letto, appoggiata ai cuscini, vidi entrare un frate cappuccino, piccolo, con la barba bianca. Lo riconobbi subito. Era padre Leopoldo. Mi guardava e sorrideva. Fece il giro del letto, guardò la gamba e disse: “So che soffri molto e che dovrai sopportare tanto male, ma la gamba sarà salva”. Io risposi: “Tutto questo lo accetto volentieri, pur di avere salva la gamba”. Sorrise e, camminando lentamente, uscì dalla porta. Scoppiai in lacrime. Il dolore alla gamba scomparve, sentii che si riscaldava e che potevo muoverla».

Il giorno seguente, i medici videro il miracolo. La signora tornò a casa guarita.

Alcune frasi di San Leopoldo Mandic:

“Quando il Padrone Iddio ci tira per la briglia, direttamente o indirettamente, lo fa sempre da Padre, con infinita bontà. Cerchiamo di comprendere questa mano paterna che con infinito amore si degna di prendersi cura di noi”.

“Non c’è tradimento che si uguagli al tradimento dell’affetto nel matrimonio”.

“L’amore di Gesù, non si stanca di ripetere, è un fuoco che viene alimentato con la legna del sacrificio e l’amore della croce; se non viene nutrito così, si spegne”.

“Non è il caso di fare penitenze straordinarie. Basta che sopportiamo con pazienza le tribolazioni ordinarie della nostra misera vita: le incomprensioni, le ingratitudini, le umiliazioni, le sofferenze occasionate dai cambiamenti di stagione e dell’atmosfera in cui viviamo…”

“Abbiamo in Cielo il cuore di una madre. La Vergine, nostra Madre, che ai piedi della Croce ha provato tutta la sofferenza possibile per una creatura umana, comprende i nostri guai e ci consola”.




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