Genitori di Piero Del Bene Lo psicologo: “Guardate ogni singolo ragazzo come fosse un tramonto” 20 Maggio 2023 Condivido con voi delle riflessioni nate dopo aver ascoltato il dott. Giovanni Miselli. Da insegnante, mi ha colpito sentirgli dire che i ragazzi non vanno guardati come “un problema da risolvere”, ma come un tramonto. Non diciamo di un tramonto: “Dovrebbe esserci più giallo lì, più rosso là”, lo apprezziamo così com’è. Anche i ragazzi vanno apprezzati e aiutati a tirar fuori il bello che è già presente in loro! Sono passati più di dieci anni dalla pubblicazione delle indicazioni nazionali per il curricolo scolastico, il documento che traccia un sentiero per il Primo ciclo dell’istruzione. Quel documento, non più aggiornato successivamente, aveva il pregio di porre al centro della questione la persona dello studente, di ogni singolo studente, con la sua storia, i suoi talenti, le sue passioni, il suo carattere. A qualcuno è venuto il pensiero un po’ amaro che non sia stato aggiornato, perché non è stato del tutto capito ed applicato. Almeno non dappertutto. Faccio questa considerazione mentre, durante un convegno che non si occupa di scuola, vengo raggiunto da una sollecitazione che mi si attacca addosso. Il convegno ha per titolo Di fronte all’altro ed è indirizzato agli operatori della pastorale familiare, cioè a coloro che accompagnano famiglie in formazione e in momenti meno felici. Penso che possa essere comunque roba che gira intorno alla cattedra. E non sbaglio. La domanda di fondo del convegno si può riassumere in poche parole: come stiamo e come stare di fronte all’altro? Marito di fronte alla moglie, ma anche genitori di fronte ai figli e, non posso non chiedermelo, insegnanti di fronte agli alunni, scuola di fronte alle famiglie e queste di fronte a quella. Insomma, nel tempo della disgregazione delle relazioni, tipica del nostro mondo iper-connesso, come intessere relazioni sane? Tra i molti spunti lanciati, uno colpisce il bersaglio meglio degli altri. Lo lancia uno psicologo e psicoterapeuta, Giovanni Miselli. Egli, parlando di ascolto, lancia una metafora con lo scopo di mostrare due modi opposti di guardare ed accogliere l’altro. Un primo modo è, per così dire, matematico, nel senso che frequentemente siamo portati a guardare l’altro come “portatore di problemi” e questi ultimi saranno da risolvere grazie al nostro intervento. Al nostro cervello piace risolvere problemi. Anzi, sembra, in certe situazioni, che sia stato programmato per questo. Siamo stati anche cresciuti in questo modo. Insomma, alla fine ci hanno convinto che uno più uno dia come risultato due e che la matematica non sia un’opinione e che quella del problem solving sia una mentalità da diffondere. Vero. In molti casi, ma non in tutti. Quella del problem solving è una modalità sicuramente utile in certe situazioni, ma non quando vogliamo ascoltare chi ci sta di fronte. Ecco il punto: chi ci sta di fronte non è un problema da risolvere. In quanto insegnante resto ferito da questa ovvia considerazione. Quante volte, nei miei lunghi anni di carriera, ho identificato la persona col problema che pone, oppure con la situazione che vive o con le difficoltà che pone al mio modo di insegnare o relazionarmi con la classe! E nei nostri consigli di classe non si parla forse, principalmente, dei problemi degli alunni? Nei colloqui scuola-famiglia, non è forse vero che si finisca spesso a parlare dei difetti e quasi mai dei pregi? Si dirà che sia una cosa normale. Non ne sono più tanto convinto. Diverso è, infatti, quando ci si imbatte in un tramonto. Cosa si fa in quei frangenti? Lo si ammira, lo si apprezza. Non credo che sia mai capitato che partisse una sollecitazione da problem solving, una cosa che ci spinga a ritenere che dovrebbe esserci più giallo o meno rosso in quella scena. Leggi anche: Puoi essere un eroe a scuola? Sì, se l’eroismo è fare bene il proprio lavoro (puntofamiglia.net) In un tramonto ci si immerge. Oppure, e qui sta l’altro spunto della relazione del dottore che mi ferisce, ci si lascia invadere. Alla fine, ci si compenetra vicendevolmente: tu entri nel tramonto ed il tramonto entra in te. E ti cambia. Ciò a cui, di solito, non si pensa è che anche l’osservatore cambia la scena del tramonto, per il semplice fatto di esserci. Se qualcuno fotografasse il tutto, nell’immagine ci sarebbe un tramonto con una persona: l’osservatore. Quando si guarda un tramonto, lo si ammira senza aspettative, si cerca di cogliervi tutto il bello che c’è. Ecco l’invito: guardare ogni singolo ragazzo come fosse un tramonto. Ci capita di guardare così un alunno o un genitore? Alle famiglie capita di vedere in questo modo i docenti? Anche da loro spesso aspettiamo soluzioni. Più in generale, anche al di fuori dell’ambiente scolastico, ci è mai capitato di essere guardati in questa modalità? Se sì, ricordiamo con grande piacere quando ciò è capitato. E con gratitudine. In fondo, anche nella lettura di questo articolo, ciò che fa la differenza è il lettore e come egli reagisce. Non dipende solo da me. E mi auguro di essere il tramonto che egli sta ammirando. Le indicazioni mettono la persona al centro, ma nella pratica scolastica ciò avviene? È sempre così? Vale per tutti? E, più in generale, succederà anche negli ambiti extra scolastici? Non mi sembra. Sicuramente non lo è per me. Raramente guardo un interlocutore come fosse un tramonto. Come potrebbe cambiare il mio modo di insegnare! Eviterei di “forgiare” l’alunno a mia immagine, per esempio. Il termine fu utilizzato da una collega che sperava di avere gli stessi alunni per dare loro una forma. Che cosa terribile! Si tratta di un errore ancora molto presente. Dare una forma a qualcuno che già ce l’ha, significa deformarlo. Non sarebbe meglio lasciare l’alunno più libero di esprimere la propria personalità ed esprimerla appieno? Cose ovvie, che, a parole, ci ripetiamo continuamente. Già immagino la reazione: “Ma noi dobbiamo dare qualcosa a questi ragazzi! Altrimenti che ci stiamo a fare?” Ottima domanda: che ci stiamo a fare? Nell’epoca dei software e dell’intelligenza artificiale, che ci stiamo a fare noi, famiglia e scuola, nella vita di questi giovani? Come cambia il nostro compito? A quale meta ci viene chiesto di accompagnare i nostri giovani? Azzardo una risposta con la metafora del seme che ha in sé il necessario per il proprio primo sviluppo. O dell’ovulo che contiene il primo nutrimento per il nuovo essere vivente che diventa. Il fatto è che la vita funziona così anche biologicamente. Ogni essere vivente ha in sé l’energia e la capacità di svilupparsi. A noi spetta il compito di creare le condizioni migliori per il massimo sviluppo possibile. E ciò funziona bene senza sostituirsi al ragazzo. Il tramonto che abbiamo di fronte, il ragazzo, ha in sé una forza trascendente che va penetrata e dalla quale bisogna lasciarsi compenetrare. L’insegnamento e la relazione di accompagnamento alla crescita, anche quella genitoriale, sono bidirezionali. Da genitore sono sicuro che le mie figlie mi hanno cambiato. Anche i miei alunni mi hanno cambiato.Agli adulti, insegnanti o genitori, capita mai di fermarsi a gustare il miracolo della crescita dell’altro? Intendo del ragazzo, che sia figlio o studente? Lo inquadriamo nella fase in cui su di lui, specialmente se ha qualche talento già manifestato, si addensano molte pressioni finalizzate a quella situazione che chiamiamo “realizzazione”. Che brutta parola! Noi adulti siamo realizzati? O siamo in continua costruzione fino all’ultimo respiro esalato? E quanto stress, questo sguardo genera sull’altro! A scuola, un ragazzo impara soprattutto a fare ed invece dovrebbe essere semplicemente accompagnato nel suo imparare ad essere. È lui il protagonista, con i suoi tempi, con i suoi slanci, le sue motivazioni intrinseche. Noi adulti possiamo stimolare ed accompagnare senza troppo interferire. Ho da cambiare un mondo in me. Credo che l’avvento dell’intelligenza artificiale non farà altro che accelerare questa necessità. Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia Cari lettori di Punto Famiglia, stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11). CONTINUA A LEGGERE Tag crescita, educazione, famiglia, FORMAZIONE, giovani, GIOVANNI MISELLI, INSEGANTI, istruzione, PSICOLOGO, scuola, TALENTI, TRAMONTO Piero Del Bene Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare. Visualizza archivio → ANNUNCIO Lascia un commento Annulla rispostaIl tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commento Nome * Email * Sito web Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy. Ho letto e accettato la Privacy Policy *