EDUCAZIONE SESSUALE

Gli insegnanti sono risolti affettivamente, così da potersi occupare di educazione sessuale a scuola?

scuola

Il ministro Valditara propone moduli di trenta ore per parlare di educazione sentimentale e sessuale nelle scuole. Tuttavia, siamo sicuri che formare o informare gli insegnanti sia sufficiente per risolvere il problema? Non sarebbe più vicina alla realtà la considerazione che alunni, docenti e genitori, venendo dalla stessa società, siano da considerare allo stesso modo in difficoltà?

Non è ancora del tutto chiaro il progetto sull’educazione affettiva prospettato dal ministro Valditara per la scuola italiana dopo i tristi fatti di cronaca di violenza a cui assistiamo ultimamente. Per quest’anno non è obbligatorio e non è curricolare. Non si sa ancora se lo sarà nei prossimi anni. Si tratterebbe di moduli da 30 ore in cui gruppi di studenti si confronteranno con esperti, moderati da un docente precedentemente formato. Non è chiaro nemmeno se sarà inteso come formazione o informazione. L’unica cosa che sembra certa è che lo dovrà preparare ed erogare la scuola, questo contenitore informe (a volte deforme) chiamato, come un Deus ex machina, a risolvere i problemi che di volta in volta la società propone. Formare e informare sono la stessa cosa? Formare rimanda al dare una forma, al forgiare. Informare invece consiste nel dare informazioni, notizie. Si tratta, come si vede, di due azioni assai diverse per scopo e finalità. Qualunque cosa intenda il ministro, comunque, è necessaria una riflessione che sia di un livello leggermente superiore rispetto ai passi proposti dal ministero. La introduco con una domanda che parte da ciò che vedo dalla cattedra: siamo sicuri che gli insegnanti siano capaci di affrontare questo problema? Li possiamo considerare come provenienti da un altro sistema solare, oppure c’è la possibilità che anch’essi siano affetti dagli stessi problemi che chiediamo loro di risolvere? La sensazione è che si stia commettendo un errore di non poco conto: l’idea di considerare l’affettività come qualcosa che si impari in un corso di aggiornamento e questo è decisamente fallace.

Prima di scrivere il presente articolo ho volutamente fatto passare qualche giorno per evitare che la sua voce si disperdesse nel mare dei giudizi che si sono accavallati nei giorni delle emozioni forti suscitate dalla vicenda di Giulia e Filippo. In quegli stessi giorni, però, accadevano, nella porzione di scuole che riesco a tenere sotto controllo, alcuni fatti che mi inducono un pensiero diverso. A scuola, in una terza media, degli alunni mi raccontano di alcune ragazzine del paese che, ritenendosi non all’altezza dei compagni, per conquistare il centro della loro attenzione, hanno cominciato a diffondere sui social foto delle loro nudità. Agli occhi di alcuni miei alunni questo è addirittura comprensibile, perché la loro coetanea si sente sola. Così hanno argomentato. 

Leggi anche: Come impostare una vera educazione sessuale? La storia di Fabio e Rita (puntofamiglia.net)

Lo stesso giorno mi raggiunge la notizia di un giovane collega di matematica che, chiamato a fare una sostituzione in una classe di liceo, lascia i ragazzi liberi, si connette col suo cellulare ad un sito di manga hot e comincia a masturbarsi. Il fatto è documentato dai video di alcuni alunni scaltri. La reazione della scuola è stata giustamente immediata e decisa. In un’altra scuola, al suono del campanello del citofono, vedendo che si trattava di una signora avvenente, un paio di docenti si lasciano andare a commenti sessisti invitando ad aprire prontamente le porte a tale “bellezza”. Negli stessi giorni, una docente nella scuola del carcere di Padova viene sorpresa a fare sesso con un detenuto suo alunno ed una madre americana, attraverso un’app di tracciamento telefonico scopre che il figlio sedicenne non è tornato a casa perché si è attardato a fare sesso con una sua docente ventiseienne. Chi, poi, non ha mai incontrato, nel proprio cammino scolastico, almeno qualche docente con forti problemi relazionali e affettivi? Ricordo che non vengono “controllati” in tal senso al loro ingresso nel mondo della scuola

Potrei continuare, ma mi fermo. È ovvio che non tutti i docenti siano fatti di questa pasta. Mi interessa porre la seguente domanda: siamo sicuri che formare o informare gli insegnanti sia sufficiente per risolvere il problema? Non sarebbe più vicina alla realtà la considerazione che alunni, docenti e genitori, venendo dalla stessa società, siano da considerare allo stesso modo in difficoltà? Ovviamente, non tutti gli alunni, non tutti i docenti e non tutti i genitori. Qui sta, secondo me, il nocciolo di tutta la questione: mai come in questo periodo è stato necessario costruire un’alleanza tra scuola e famiglia per riconoscere i problemi affettivi, relazionali e sessuali da cui tutti, chi più chi meno, siamo affetti. Occorre quella sufficiente umiltà per riconoscersi bisognosi che ci metta in cerca di aiuto per risolvere un problema che ci riguarda tutti.  Il Ministro Valditara “ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo, perciò, aveva messo insieme Paola Concia e me”. Chi parla è Suor Monia Alfieri che, insieme a Paola Concia e Paola Zerman, erano state individuate quali garanti del progetto. Secondo Valditara, la presenza dei garanti “aveva semplicemente lo scopo di sostenere questa iniziativa” e “la loro diversità culturale era proprio un messaggio forte per significare che nel contrasto alla violenza contro le donne dobbiamo essere tutti uniti, partendo da iniziative concrete, di buon senso, non estremiste, né tanto meno ideologiche”. Un tentativo “di unire mondi molto distanti fra loro per un fine socialmente importante” ha concluso il ministro. Il tentativo, però, non è riuscito. Ha dato fastidio l’attivista lgbtq da una parte e la suora dall’altra. Mi sembra di poter dire che, date le premesse, da questo meandro di rivendicazioni non si uscirà facilmente senza fare ognuno qualche passo indietro rispetto alle proprie convinzioni. Ecco il punto: troveremo un terreno comune da cui partire per guarire non solo i giovani ma questa società intera?




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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