L’imprevisto di uno sguardo atteso: un libro avvincente sul dopo Cristo
di Paola Ciniglio
Cosa avremmo pensato e come avremmo reagito se avessimo assistito a un miracolo di Gesù? “L’imprevisto di uno sguardo atteso” di Guido Mezzera vuole dar voce a quei testimoni periferici, non noti, che incrociano, in un modo o nell’altro, lo sguardo del Nazareno.
Chiunque si sia mai soffermato a pensare alla vita di Gesù, ha passato un po’ di tempo a fantasticare su cosa sarebbe accaduto se fosse stato presente a Nazaret negli anni 30 dopo Cristo. Che cosa avrebbe detto, quali parole Gesù avrebbe consegnato. Se fosse stato semplicemente uno della folla o avrebbe avuto il coraggio di seguirlo tra i suoi amici più stretti. È questo il punto di partenza da cui nasce l’ultima opera di Guido Mezzera, “L’imprevisto di uno sguardo atteso” (© 2024 Edizioni Cantagalli S.r.l.) La penna di Mezzera entra nelle pieghe di queste domande, ricordando come lo sguardo di Cristo si posa su ciascuno, quale persona più importante e degna di stima. Per Gesù non esiste una indistinta folla, ma persone e storie che guarda nel profondo e segue con amore. Perciò trovano diritto di cittadinanza anche quei personaggi che appaiono marginali, non inclusi nei racconti ufficiali ma che avrebbero potuto credibilmente essere lì, coinvolti in quelle storie.
Mezzera lo fa con un dono incredibile: le storie sono realistiche, dipinge scene vivide e coinvolgenti, trasportandoci nella Palestina di duemila anni fa. Amore, amicizia, dolore, fede, dubbio: i temi affrontati nel libro sono quelli che da sempre abitano il cuore dell’uomo. Lo scrittore li esplora con delicatezza e profondità, invitandoci a confrontarci con essi e a trovare le nostre risposte. Le emozioni dei personaggi sono palpabili, ci commuovono, ci fanno sorridere e ci spingono a riflettere. Così incontriamo Ruben, un affermato pittore, che passa la sua vita alla ricerca della bellezza, scontrandosi però con il dolore di traumi infantili non elaborati. O Samuele, innamorato della sua amica Lea, figlia di Giairo, che di fronte alla malattia della giovane si chiede se Dio si è forse stancato e perché non ascolta il grido di chi soffre.
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Temi dunque che legano il lettore ad ogni parola e lo tengono col fiato sospeso, animati dalla curiosità di sapere di più – quello che anima Mattatia, il quinto degli otto personaggi presentati da Mezzera. Per ciascuno c’è la possibilità di una svolta che Dio offre, che passa attraverso parole e incontri quotidiani. Amici, familiari, le relazioni fondanti per l’essere umano diventano il tramite preferenziale con cui è possibile incontrare lo sguardo di Cristo.
Un posto d’onore lo hanno proprio gli amici. Come restare indifferenti, ad esempio, davanti a quel moto di compassione degli amici del paralitico, che trasformano il senso di impotenza, che provavano, in una colpa? “La colpa di non essere in grado di fare niente per il nostro amico, e la colpa di avere ancora le nostre gambe e una vita da vivere”. O come non restare commossi di fronte alla meraviglia del decimo lebbroso davanti alla bellezza del corpo dell’uomo, in tutti i suoi minimi dettagli? Da ogni storia nasce un desiderio di scavarsi dentro e pensare al proprio modo di stare davanti a Dio e a se stessi.
Inattesa e affascinante è anche la prospettiva di un Dio che “sfrutta” le azioni che non nascono dalle intenzioni più pure, condite da tornaconti personali, per scavare nel cuore dell’uomo le domande fondamentali. Non a caso apre il volume la storia di Marco Tullio, il centurione che temendo rivolte, va a spiare di nascosto l’operato di Giovanni il Battista. Diventa così testimone infiltrato, sotto copertura, non programmato del primo incontro tra Gesù e i primi due discepoli, Andrea e Giovanni. “Che cosa cercate?”, chiede loro e quella domanda inizia a scavare anche nel cuore del soldato e di quanti si ritrovano il volume tra le mani.
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Se però fossero soltanto i racconti dell’incontro, potremmo anche credere che si tratti di semplici biografie che poco parlano alla nostra esperienza. Interessante è invece vedere la svolta nella seconda parte del libro, quella che risponde all’inevitabile “e poi?” con cui termina ogni capitolo. Interessante perché siamo in qualche modo abituati ad un racconto che si sofferma sull’evento eclatante, clamoroso, su quell’incontro incredibile, ma che raramente ci riporta i fatti quotidiani di ciò che accade dopo. Come concretamente la vita può cambiare dopo quello sguardo, quali i cambi di prospettiva? Un invito forte a non fermarci all’evento straordinario, ma a guardare alle conseguenze concrete che esso chiede alla nostra esistenza.
La conclusione è di incredibile tenerezza, quando Marco Tullio, il nostro caro e scettico centurione dell’inizio del libro, si decide a voler vedere Gesù Risorto. A lui, Giovanni, il discepolo amato, rivolge queste parole, che diventano un invito per ogni lettore:
«Caro e amato amico, ancora una volta Dio ha voluto che il desiderio che riempie il tuo cuore non si possa ancora soddisfare: oggi stesso il Figlio è tornato al Padre, per non lasciarci mai più. Spendi la tua vita dando testimonianza della verità che è Cristo morto e risorto, nell’attesa di poterlo incontrare un giorno, al termine del tuo viaggio. Ma anche nella certezza che Gesù vive in noi e in tutto ciò che vive attorno a noi. Questo è ciò che ci è accaduto, questo è stato l’incontro con Gesù, fin dal giorno in cui Andrea ed io lo abbiamo seguito. Quel giorno c’eri anche tu, quel giorno Gesù ti ha guardato e ti ha amato. Anche a te è accaduto l’imprevisto di uno sguardo, atteso».
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