CORRISPONDENZA FAMILIARE

Accogliere la vita: opus magnum dell’uomo

24 Giugno 2024

Mettere al mondo un figlio è oggettivamente l’opus magnum, l’opera più grande che l’essere umano possa realizzare. Questa verità, che fino a trent’anni fa avremmo definita lapalissiana, tanto era evidente, oggi appare offuscata. Lo dicono i numeri che registrano una preoccupante denatalità. È necessario, perciò, offrire qualche spunto di riflessione.

Tante sono le opere che l’essere umano può mettere in campo, alcune sono oggettivamente più importanti di altre. Non voglio fare la lista delle priorità per non scontentare nessuno. Ma c’è un’opera che viene prima di tutte le altre, la più antica, quella che mai verrà a mancare: generare vita. Mettere al mondo un figlio è oggettivamente l’opus magnum, l’opera più grande che l’essere umano possa realizzare. Questa verità, che fino a trent’anni fa avremmo definita lapalissiana, tanto era evidente, oggi appare offuscata. Lo dicono i numeri che registrano una preoccupante denatalità. Lo dice una mentalità sempre più diffusa che non attribuisce più alla maternità il primato rispetto ad altre attività considerate socialmente più rilevanti. È necessario, perciò, offrire qualche spunto di riflessione.

Rileggendo la dinamica insita nella generazione mi pare di poter individuare quei criteri fondamentali che rivestono di dignità il nostro vivere, personale e sociale.

  • In primo luogo non è un’attività individuale ma il frutto di un incontro tra l’uomo e la donna, un incontro pienamente umano. Non si tratta di una collaborazione occasionale ma di una relazione stabile che unisce gli sposi, anima e corpo. La generazione sconfessa alla radice ogni forma di individualismo.
  • Il processo della vita sembra affidato solo alla donna, in realtà la scienza mostra che esiste un dialogo straordinario tra la mamma e il bambino che cresce in lei, un dialogo biochimico che precede e prepara l’assoluta unicità del legame affettivo che unisce il figlio alla madre. Entriamo nella vita attraverso un patto di alleanza. Accogliere la vita significa imparare a camminare nei sentieri della condivisione e della collaborazione.
  • C’è una terza caratteristica che appartiene esclusivamente alla fede. Ciò che rende straordinaria l’opera della generatività è che non si tratta solo di un’opera umana ma di una collaborazione tra Dio e gli sposi: la Scrittura annuncia che la fecondità è segno e frutto della benedizione divina (Gen 1,28), è Lui che li chiama “ad una speciale partecipazione del suo amore ed insieme del suo potere di Creatore e di Padre” (Familiaris consortio, 28). Accogliere la vita ci fa percepire il mistero di Dio.
  • Accogliere la vita significa mettersi al servizio di quella creatura che può contare esclusivamente sulla disponibilità dei suoi genitori e, in particolare, della mamma. Una madre che vive con fedeltà la sua missione non ha il tempo per sé e mette volentieri in secondo piano le sue esigenze perché è protesa a dare agli altri ciò di cui hanno bisogno. Tra maternità e servizio non c’è solo uno stretto contatto ma una piena coincidenza. Accogliere la vita significa imparare a non vivere più per sé stessi.
  • L’apostolo Paolo paragona la storia umana all’esperienza del parto, “Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,22). La vita è l’annuncio audace della speranza, mostra infatti che vi è un dolore necessario, la vita nasce attraverso la morte. In ogni parto si compie questo mistero che attraversa tutta la storia e trova nella Pasqua la sua pienezza: morte e vita si affrontano. Il parto è il trionfo della vita. È segno dell’alleanza nuova e definitiva, è immagine della resurrezione che vince la morte e che diventa principio di una storia nuova. Accogliere la vita insegna a fare anche del dolore un’esperienza carica di fecondità.
  • Il mistero della vita umana è sempre sorprendente, anche se oggi conosciamo abbastanza bene i meccanismi biologici che presiedono la fecondazione e il graduale sviluppo dell’embrione, rimane sempre vero che siamo di fronte ad un vero miracolo. I primi a meravigliarsi sono i genitori, quella vita che pulsa in grembo porta con sé il mistero della vita. Nei volti dei bambini possiamo vedere il riflesso di quell’innocenza originaria che Dio aveva donato all’umanità; possiamo contemplare il mistero della vita, preziosissimo dono di Dio.
  • Un figlio è sempre un figlio unico, anche se ce ne sono altri e/o se arriveranno altri figli. Ciascuno è unico e irripetibile come unico e irripetibile è l’amore che i genitori devono consegnare a ciascuno dei figli. Accogliere la vita ricorda che la vita ogni uomo ha un volto, un destino, una storia da realizzare. Non possiamo saperlo in anticipo. Spegnere la vita prima che venga alla luce significa privare la storia di quel contributo che quel bambino poteva dare. Lui e nessun altro.

Accogliere la vita significa mettersi in cammino. Initium ut esset, creatus est homo, dice Agostino. L’uomo è stato creato, perché vi fosse un inizio. Quel primo inizio ricomincia ogni volta che abbiamo il coraggio di abbracciare un figlio.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.


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