Dal Vangelo secondo Luca (Lc 8,16-18)
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.
Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce.
Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».
Il commento
“Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce” (8,16). L’immagine della lampada e del letto fa riferimento alla casa, qui considerata come icona della comunità ecclesiale. Il verbo entrare fa pensare a coloro che abitualmente vivono nella casa, in altre parole a coloro che partecipano alla vita di fede, quelli che hanno già ricevuto e accolto l’annuncio del Vangelo. Evidentemente sono discepoli ancora esitanti e hanno bisogno perciò di trovare incoraggiamento nella testimonianza di quelli più maturi. Accendere la luce significa manifestare la gioia e la fecondità della fede e, di conseguenza, suscitare nei fratelli ancora timidi un desiderio ancora più ardente di vivere il Vangelo e sollecitarli a fare scelte più decise. È questa la raccomandazione che l’apostolo Paolo consegna alla comunità di Roma: “Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli” (Rm 15,1).
“… chi entra veda la luce”, leggiamo nel Vangelo (8,16). Un dettaglio interessante. Chi entra non deve vedere la persona ma la luce che Dio dona attraverso la sua testimonianza. Il testimone non attira l’attenzione su di sé, non cerca di mostrare le sue capacità o la sua bontà. Ciò che gli interessa è diventare un raggio di quella luce che viene da Dio e conduce a Dio. È il Vangelo che deve risplendere. Tutto questo può avvenire solo se siamo pronti a scomparire. Chi usa il ruolo ricevuto, le competenze acquisite e/o l’autorità ecclesiale per parlare di sé tradisce la vocazione ricevuta. Quanto più grande è l’autorità tanto più dobbiamo servire e… scomparire. Nella vita ecclesiale c’è un orgoglio strisciante che si traduce nella sterile vanità. È un virus pericoloso. Se non impariamo a vestirci di umiltà, rischiamo di usare i doni di Dio per affermare noi stessi. Oggi chiediamo la grazia di essere testimoni fedeli per stimolare i fratelli a prendere sul serio il Vangelo.
Briciole di Vangelo
di don Silvio Longobardi
s.longobardi@puntofamiglia.net
“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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