FAMIGLIE NUMEROSE
Famiglia con undici figli insultata sui social: “Dovete avere dei disturbi psicologici!”
Una famiglia numerosa è stata insultata pesantemente sui social: oltre ai tanti che hanno ironizzato sull’intento di formare una squadra di calcio (questo è classico) c’è stato chi ci è andato giù molto più pesante, affermando che solo chi ha problemi psicologici e ha dei vuoti da compensare può pensare oggi di mettere al mondo tanti figli…
Sta facendo il giro del web la vicenda di una famiglia che vive a Genova, con undici figli. La storia di Luca e Valentina (38 e 33 anni) e dei loro bambini è stata raccontata da “Il Secolo”. Il primogenito ha tredici anni, le ultime due nate, gemelline, cinque mesi.
Avere così tanti figli non era nei loro “piani iniziali”. Dopo tre maschi sarebbe loro piaciuto avere una femminuccia, che non si è fatta attendere. Il quarto parto, infatti, ha visto venire alla luce una splendida bimba. Eppure, è stato lì che hanno deciso di non fermarsi.
Nell’articolo si racconta di una famiglia “normale”, pur nella sua straordinarietà: i figli vanno a scuola, giocano e litigano, fanno sport, stanno con i nonni. Il papà è un gran lavoratore e, come è normale e giusto che sia, usufruisce, con la moglie, degli aiuti statali previsti per il mantenimento dei bambini (che tutti ricevono in maniera proporzionata alle proprie entrate e al numero di figli a carico).
Si tratta di una notizia che può lasciarci un po’ stupiti e può far sorgere in noi domande spontanee: “Come fanno? Che casa hanno? Come si organizzano?”. Ciò che lascia alquanto perplessi, tuttavia, è che qualcuno si senta in diritto di insultare e usare del duro sarcasmo verso questa famiglia che ha l’unica colpa di essere “diversa” dalla maggior parte delle famiglie che conosciamo.
La notizia, infatti, come avviene comunemente, è sta condivisa sui social: lì sono proliferati centinaia di commenti negativi, offensivi, denigratori.
Alcuni esempi? “I contraccettivi esistono da un pezzo” (come se chi commenta in questo modo fosse chiamato direttamente a mantenere quelle creature), “Per fare così tanti figli oggi si devono avere seri problemi psicologici e si cerca di colmare un qualche vuoto” (mentre è perfettamente “sano” giudicare così perentoriamente persone che non si conoscono neppure), “Certo, facile con gli aiuti statali” (aiuti statali che sono previsti per tutti, se si ha il coraggio di scommettere fino a questo punto sulla vita…).
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A forza di leggere parole denigratore e cattive contro questi genitori, mi è venuta la nausea e ho dovuto smettere.
Però mi sono chiesta: “Perché? Cosa ci guadagniamo a smontare e demolire così il nostro prossimo?”
Da un lato la colpa è dei social: dietro ad uno schermo ci sentiamo più liberi di dire tutto quello che ci passa per la mente, tantopiù se dall’altra parte ci sono persone che non conosciamo e che non vedremo mai in faccia. Si sa, dietro a un pc siamo tutti più disinibiti.
In più, spesso si usano questi ambienti virtuali per sfogare rabbia e frustrazione, anche sul “primo che capita”.
Eppure, lascia sgomenti che tutto questo odio trovi spazio in noi, che lo assecondiamo, invece di cercare guarigione.
Lascia sgomenti che chi grida all’inclusione poi accusa famiglie come questa di essere “l’emblema del patriarcato” nel nostro paese, che vede la donna solo come “macchina da figli” (se una donna diventa madre più volte – liberamente – nel contesto di un matrimonio è “sfruttamento della donna”, mentre è sempre più ben accetta la pratica dell’utero in affitto: lì si tratta di emancipazione e solidarietà).
Si difende la libertà di fare ciò che si vuole del proprio corpo, ma se una donna decide di metterlo al servizio della vita ben undici volte diventa “offensiva” per tutte quelle famiglie che non riescono ad andare avanti con due o tre figli (e allora si accusa il giornale: “Che bisogno c’è di raccontare queste storie? Dobbiamo far sentire in difetto tutte le famiglie che non arrivano a fine mese con un figlio solo?”).
La fantasia dei commenti mi ha lasciato senza parole.
Il giornalismo racconta ciò che esce dall’ordinario, ciò che fa sorridere o piangere, ciò che ci tocca da vicino o quello che rischia di diventare una minaccia. La “normalità” non fa notizia. Eppure, ci sono cose straordinarie che vanno taciute. Ci lamentiamo del fatto che i giornali ci diano solo cattive notizie, quelle belle, però, ci sembrano anche peggio, perché il mondo deve marcire nel disfattismo. Guai a riempirlo di bambini, che “rubano”, per crescere, i nostri soldi pubblici.
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