28 Novembre 2024
Quando la libertà di scegliere la vita è zittita in un’aula universitaria
“Sono stata invitata a parlare in un’aula universitaria. Non mi ero preparata discorsi. Non lo faccio quasi mai, perché quello che dico si riferisce sempre a vite vissute: porto le storie delle mamme che incontriamo ogni giorno al Cav Mangiagalli. E così avrei fatto anche martedì, nell’incontro su “Accogliere la vita. Storie di libere scelte”, in programma nella sede di via Celoria dell’Università degli Studi di Milano” è Soemia Sibillo, direttrice del Centro di aiuto alla Vita Mangiagalli di Milano a scrivere queste parole all’inizio di una lettera, pubblicata su Avvenire, rivolta ai giovani manifestanti che martedì 26 novembre le hanno impedito di parlare.
“Era pronto un video di una mamma che racconta una gravidanza difficile: una coppia arrivata in Italia da qualche mese, la diagnosi di una grave malformazione cardiaca del bambino che portava in grembo” scrive la Sibillo. “Le era stato proposto un aborto terapeutico. Era arrivata da noi in lacrime. Quel bambino lo voleva. E così quella mamma, quel papà hanno detto il loro sì alla vita. Il loro bimbo dopo vari interventi chirurgici e terapie ora sta bene. Un bimbo che poteva non esserci oggi”.
Questo video non è stato mandato in sala ai 300 studenti venuti per ascoltare e confrontarsi. Alcuni ragazzi del collettivo “Cambiare rotta” hanno fatto incursione nell’aula e hanno cominciato a urlare e bestemmiare, canticchiando ritornelli poco piacevoli, e rovesciando dell’acqua sull’impianto elettrico, azzerando luci, microfoni e video. “Non sapevate neppure che avrei portato una testimonianza, non sapevate cosa avrei detto. Neppure la curiosità di sentire per poi discutere, confrontarsi. Dovevate costringere al silenzio, a prescindere. È questa la “libertà” che tanto invocate? Non far parlare? Non permettere che si realizzi un incontro organizzato da altri vostri coetanei? E proprio in aula universitaria che dovrebbe essere fucina di idee, confronti, cultura?”: le domande della vicepresidente del Movimento per la Vita italiano pendono sui fatti di Milano come una triste lettura dei fatti.
L’incapacità del confronto sui temi dell’aborto e della vita nascente è davvero insostenibile e devastante, specie quando l’incomunicabilità proviene dalle nuove generazioni. “Mi dispiace che non abbiate voluto ascoltare storie di donne, spesso migranti, spesso lasciate sole, spesso in difficoltà economiche che hanno scelto liberamente la vita testimoniandolo loro stesse. Al Cav Mangiagalli abbiamo imparato un principio fondamentale. L’ascolto. Noi operatori ogni giorno ascoltiamo difficoltà, timori, lacrime, problemi… in silenzio. Facciamo silenzio”.
È questa la linea di azione dei volontari della vita: silenzio, ascolto, comprensione e poi tendere una mano per aiutare una donna ad essere veramente libera di scegliere la vita. “Cari ragazzi, martedì vi ho ascoltato. In silenzio. Non ho commentato, né ho ribattuto. Non è timidezza. È esserci, anche per voi. Noi al Cav Mangiagalli ci siamo. Non cerchiamo nessuno. Non ci appartengono le battaglie ideologiche. Non siamo dei combattenti. Da quarant’anni accogliamo e ascoltiamo”. E continua: “Allo stesso modo di chi nelle acque di un mare gelido chiede un aiuto. Allo stesso modo di chi trovandosi ammalato magari in ospedale chiede un sostegno. Allo stesso modo di chi, per strada, impaurita, chiede un aiuto. La libertà di chiedere aiuto. Sarebbe per me un grande dolore sentire: «Se avessi saputo che potevate aiutarmi avrei tenuto mio figlio». Non cancellate questa libertà. Un giorno potreste invocarla anche voi”.
Grazie Soemia, grazie al popolo della vita che ogni giorno semina questo sguardo di speranza, più forte degli slogan, più eloquente di tanti convegni, più concreto di tante illusioni. Perché, quando si zittisce, si silenzia la vita nel grembo, si ammutolisce una mamma che ha accolto con gioia la vita, non si è più liberi, mai.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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