DILEMMI ETICI

“Eva e Adamo”: il brano musicale di Martina Attili che fa discutere sull’aborto

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“Tre giorni dopo la decisione della Corte Suprema di cancellare la storica sentenza sul diritto all’aborto, Caitlin Bernand, ginecologa di Indianapolis, riceve la chiamata da un collega di uno Stato vicino, l’Ohio: c’è una bambina di 10 anni vittima di stupro, incinta.” Con queste parole, il Corriere della Sera parlava – nel luglio 2022 – di una tragica vicenda di cronaca avvenuta negli Stati Uniti. Oggi quella storia è raccontata in un brano musicale di Martina Attili: “Eva e Adamo”.

Lanciato venerdì 22 novembre sotto l’etichetta ZooDischi e distribuito da ADA Music Italy, il testo “Eva e Adamo” di Martina Attili si pone l’obiettivo di denunciare “il mancato diritto all’aborto” di una bimba, la quale dall’Ohio ha varcato i confini nazionali, raggiungendo quello di Indianopolis, perché incinta del suo patrigno e nello Stato in cui viveva era diventato illegale interrompere la gravidanza. La piccola si è trasformata così, per tanti, nel simbolo della lotta per l’aborto legale in ogni Stato.

Non possiamo neppure immaginare – o meglio, spero che nessuno di voi possa – cosa significhi subire uno stupro in tenera età, restare incinte e trovarsi di fronte a due possibilità: portare avanti una gravidanza in una fase della vita del tutto inappropriata, oppure prendere un volo, recarsi in una clinica e abortire. A dieci anni.

Il caso è delicatissimo, di quelli che vanno trattati con i guanti, di quelli che, per entrarci, devi davvero camminare in punta di piedi. 

Ci sono storie simili con finali diversi da questo, ma al momento restiamo sulla vicenda, senza esimerci da una seria riflessione: di fatto, questa bambina era incinta di un mostro e l’hanno portata ad abortire

Una prima considerazione inevitabile è che il male porta sempre altro male. Un professore di teologia morale, all’università, paragonava il peccato (e se non è peccato uno stupro, non so cosa lo sia) a una “cascata”. Se tu fai il male, esso ricade – “a cascata”, appunto – su tante persone. 

Premettiamo: la bambina è solo vittima in tutta questa storia. Inoltre, ad aggravare la situazione, il fatto che la bimba è stata violata dal compagno della madre: quindi da un adulto chiamato ad accudirla, proteggerla, nel luogo che doveva essere il più sicuro (casa sua). Doveva giocare con lei, aiutarla a fare i compiti, portarla al parco, ascoltare con tenerezza le sue confidenze… invece l’ha usata nel modo peggiore in cui si possa usare qualcuno.

Doveva esserle padre, invece è stato un viscido pedofilo. L’abuso sessuale, forse, è l’esperienza che più di ogni altra può farci avvicinare all’inferno. 

È la forma di sopraffazione più atroce che esista perché, se il vincolo sessuale, vissuto nell’amore, è l’atto unitivo per eccellenza e dona pienezza a chi ne fa esperienza, al contrario, se si consuma nella violenza, è distruttivo: diventa causa di una profonda lacerazione dell’anima, perché tocca la parte più intima del sé.

Leggi anche: L’aborto, a volte, è solo la punta di un iceberg. La testimonianza di Davide

Nella canzone si parla di “giudizio” e “condanna” per quella bimba da parte della “gente”: ma quale persona – sana di mente, si intende – può “giudicare” e “condannare” una bambina che ha subito un simile dramma?

La canzone di Martina Attili ha il pregio di sensibilizzare su una realtà drammatica: quella della violenza domestica, che “ruba l’infanzia”. Però, tace su una cruda verità: ovvero che le vittime di quella violenza, le vittime di quell’orco, sono due: la bambina e il piccolo o la piccola in grembo.

Si denunciano il ritardo e le difficoltà di esercitare il “diritto all’aborto”, come se poi abortire a dieci anni (quando dovresti solo giocare con le bambole!) non fosse un dramma. 

Lei è “il simbolo della lotta verso l’autodeterminazione”, ho letto in un articolo che parlava di questo nuovo brano musicale.

Autodeterminazione? Di cosa stiamo parlando? Come facciamo ad applicare queste categorie mentali e ideologiche a una bambina? Una bambina che ora ha bisogno di cure psicologiche, supporto emotivo, preghiere per la guarigione dell’anima, non di essere strumentalizzata.

Neppure una parola si spende per il concepito o la concepita, chiamato alla vita, nel modo più brutale che esista, e che poi ha pagato – con la morte prematura – le colpe di un altro (il padre!). 

Il figlio in grembo diventa il “capro espiatorio”, è colpevolizzato lui di esistere, di aver iniziato a vivere nel posto sbagliato, al momento sbagliato. 

Nessuno dice che in questa vicenda è martire innocente anche lui, proprio come la sua povera mamma, martire della spregiudicatezza di un uomo che non si può nemmeno definire uomo. Martire della cultura dello stupro, che denunciamo dopo i femminicidi, ma poi accettiamo e cantiamo ogni giorno nella trap music, che fa milioni di visualizzazioni su YouTube, senza alcuna censura.

Diciamolo nelle nostre canzoni, che il sesso è dono e che ogni corpo è sacro. Impegniamoci un po’ di più per parlare di amore, ma di amore vero, di quell’amore che sa custodire, di quello che non si vende e non si compra, che non violenta nessuno, ma manifesta cura con gesti e parole.

Ricordiamoci che i potenziali stupratori di domani sono bambini oggi. Quelli a cui permettiamo di accedere al porno a otto anni e ai quali lasciamo ascoltare ore ed ore di parolacce verso le donne. Quelli a cui facciamo credere che si possono fare cose a tre perché “più siamo meglio è”. Non sto inventando nulla, sono i testi che facciamo accedere a Sanremo, dove i cantanti possono molestarsi tra loro in diretta. Perché in fondo che male c’è? E accettiamo ogni perversione. Favoriamo la perversione. Tanto, poi, a pagare il conto di questa mentalità malata e schizofrenica sono sempre i più deboli.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.


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