La nuova parola d’ordine da striscioni di corteo contro la violenza sulle donne è combattiamo il patriarcato. Secondo alcuni il problema principale in Italia è legato ancora a questa forma ancestrale di controllo dell’uomo sulla donna e di maggiore potere che gli uomini hanno rispetto alle donne. Ora certamente tracce di patriarcato si possono trovare ovunque, così come si trovano tracce di fascismo o di comunismo. Desidererei che queste convinzioni fossero suffragate da dati certi. Perché, se vogliamo guardare alla politica o al mondo giudiziario a me sembra che le donne abbiano pari dignità.
Per esempio, oggi la magistratura è composta da donne per il 56% e da uomini per il 44% e man mano che le classi di età più anziane vanno in pensione la percentuale delle donne aumenta; ne troviamo sempre di più nei gradi più alti, ai quali si arriva con molti anni di servizio alle spalle. Qualcosa di simile accade anche per la professione di avvocato. Insomma, non diremo che la giustizia è in mano alle donne, come si dice che sia la scuola, ma certamente almeno in quel mondo non c’è (più) il patriarcato. Piuttosto mi piace pensare che c’è un’immissione di maternità in questi ambiti che contrariamente ci lascerebbe tutti più poveri rispetto al passato.
Scusate se faccio una riflessione un po’ sul filo del rasoio, a me sembra che sia piuttosto il contrario. Mi spiego meglio. Viviamo in una società dove si avverte fortemente l’assenza di padri. I nostri giovani sono orfani di padri vivi, manca la figura paterna, un padre, cioè, che con amore e coraggio sappia portare ordine, senso, significato e limiti nel caos esistenziale dei nostri figli.
“Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui”. Sono alcune delle parole che Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa nella Lettera Patris corde, pubblicata all’inizio dell’anno dedicato a san Giuseppe (8 dicembre 2020). La figura dell’uomo e della donna e il loro ruolo specifico all’interno della coppia, della famiglia e della società negli ultimi decenni è profondamente cambiato. Assistiamo ad una vera e propria crisi dell’identità maschile e femminile. I ruoli si fondono fino a confondersi. I fenomeni che caratterizzano questa deriva sono sotto gli occhi di tutti: è aumentato il culto dell’immagine e di una visione narcisistica di se stessi; c’è una ricerca esasperata di emozioni ad ogni costo e infine la rinuncia alla propria identità e al proprio ruolo di maschio e femmina, di padre e di madre, la rinuncia alla responsabilità che l’essere uomo e donna comporta a favore di un’assoluta fluidità dei ruoli e anche dell’identità stessa.
La ricaduta di questo relativismo, sul piano antropologico si è tradotta in un livellamento delle differenze. Vogliamo una omologazione dell’uomo e della donna a tutti i livelli, nel lavoro, nella Chiesa, nella relazione, nel sesso, nella generazione di un figlio, nell’educazione di quel figlio. L’omologazione è una cosa, l’uguaglianza è un’altra. Siamo uguali nella dignità ma differenti. E questa differenza è ricchezza. Noi la stiamo diluendo, perdendo a favore di una narrazione che vuole l’uomo prevaricatore e violento. È certamente da condannare ogni forma di violenza ma nello stesso tempo bisogna recuperare un ruolo, quello paterno che è di guida, di cura, di assunzione di responsabilità che è proprio della figura paterna.
E permettetemi di aggiungere che questa lotta contro il patriarcato non ha nulla a che vedere con il cattolicesimo in Italia. Basterebbe vedere i numeri di chi grida contro CL nelle università. In Italia nel 2023 ci sono stati 117 omicidi di donne di cui 64 imputabili a omicidi in ambito sentimentale (i cosiddetti femminicidi). Ora sapete nella laicissima Francia quanti ne sono stati commessi? 96 femminicidi. E negli Stati uniti? 15mila. Magari è da dire che la cultura cristiana che ha grande rispetto per le donne e per le madri pone un argine alla visione maschilista. è proprio il contrario.
Prima, dunque, di confondere e agitare le acque e, questo è da dire sia ai politici sia a una certa narrazione giornalistica, meglio avere un po’ di onestà intellettuale e tentare di dare qualche risposta più corretta ai fenomeni. In caso contrario inganniamo noi stessi e anche i nostri figli.
Il Caffè sospeso...
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Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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