Storie di santi

Van Thuan, sacerdote: celebrava l’Eucaristia col tozzo di pane dei prigionieri

Foto derivata da: tgpsaigon.net, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Oggi la storia di Van Thuan, definito da molti un sacerdote “libero dietro alle sbarre”. In un campo di concentramento in Vietnam, sotto al regime comunista, portò Cristo ai suoi compagni di prigionia. Il tozzo di pane dato loro per il pranzo diveniva l’eucaristia; il vino, che si faceva portare dai famigliari di nascosto dicendo che erano medicine, diventava il sangue di Cristo e la luce entrava in quelle celle sporche…   

Conoscete la storia di Francois Xavier Nguyen Van Thuan? È stato un sacerdote vietnamita che ha vissuto 13 anni in carcere. La sua colpa? Annunciare il Vangelo, irritando il regime comunista che voleva eliminare dalla società ogni traccia del sacro.

Dopo la liberazione, avvenuta nel 1988, è divenuto cardinale e arcivescovo. È morto nel settembre 2002. Il 4 maggio 2017, la Congregazione per le Cause dei Santi ha riconosciuto le virtù eroiche, prima tappa del processo di beatificazione.

I primi mesi dopo l’arresto furono angoscianti e durissimi: il sacerdote, un uomo molto operoso, non capiva perché Dio stesse permettendo una simile prova. Non era forse più di aiuto fuori dalle sbarre? Quanti orfani avevano bisogno di lui, quante anime in pena cercavano un pastore buono e pronto a consolarle? All’inizio, subito dopo l’arresto, i continui maltrattamenti, vissuti in solitudine, furono un’agonia: dentro di sé, il presbitero desiderava solo la morte. Siamo fragili, tutti. E il male fa vacillare la fede e la sanità mentale di chiunque. Ricordiamo la reazione degli apostoli, al momento della croce. 

Van Thuan trascorse i primi giorni chiuso in una latrina di due metri quadrati, completamente al buio, senza acqua pulita, senza potersi vestire e riposare, senza cibo vero. Questa condizione disumanizzante lo stava facendo uscire di sé: si sentiva un corpo in fin di vita, la sua mente vacillava, credeva di essere prossimo alla fine.

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I suoi carnefici non volevano che morisse, preferivano torturarlo: lo tenevano in vita per potersi divertire con lui e anche per estorcere delle informazioni sulla Chiesa. Inoltre, volevano rendergli la vita tanto impossibile da far sì che rinnegasse la sua fede in Cristo (“Non vedi cosa ti costa quell’abito da prete?”): rinunciando alla sua vocazione cristiana e al sacerdozio sarebbe stato libero. Egli non cedeva, non voleva rinnegare il suo Dio: era morto sulla croce per lui! Però si sentiva sfatto, aspettava solo il momento di andare incontro al Signore con la morte.

Un giorno, ormai dimagrito tanto da essere solo un cumulo di ossa, malato, alienato, ha gridato a Dio con tutto sé stesso: ha chiesto a cosa servisse la sua vita, così ridotta e perché non poteva morire.

In quel momento, avvertì dentro di sé una luce, così luminosa da avere la sensazione di non essere più sulla terra. Il Signore gli disse che stava per terminare quel momento orribile. Che doveva fidarsi: ci sarebbe stata una svolta. Dio gli fece capire che doveva abbandonare in Lui tutta la sua vita, abbandonare i suoi progetti e lasciare che Dio gli mostrasse i suoi.

È in quel momento che il presbitero viene spostato e portato in un campo di concentramento con altri carcerati. Effettivamente, però, cambiò tutto: Van Thuan, definito oggi da molti “l’uomo libero dietro alle sbarre” portò Cristo ai suoi compagni di prigionia, ai detenuti. Intorno a lui, si riuniva di nascosto una piccola assemblea di carcerati. Il tozzo di pane dato loro per il pranzo diveniva l’eucaristia; il vino, che si faceva portare dai famigliari di nascosto dicendo che erano medicine, diveniva il sangue di Cristo e la luce entrava in quelle celle, la luce splendeva nelle tenebre e le tenebre non potevano vincerla.   

L’acqua sporca dei catini si trasformava in sorgente di vita, con essa battezzava quanti decidevano di diventare cristiani. La sua “predicazione clandestina” diede molto frutto.

Van Thuan, ancorato a Cristo seppur in condizioni terribili, ha saputo essere l’uomo nuovo del Vangelo, quello che ha una letizia così profonda e radicata da non spegnersi davanti a nulla. Parlava di speranza, spiegava che la libertà non è qualcosa di esteriore, ma di interiore: siamo liberi quando amiamo, quando lasciamo l’odio, quando Dio ci abita. 

Mentre scontava pene per colpe inesistenti, Van Thuan, in quel luogo infernale, salvava compagni di cella dal suicidio, tirava su il morale ai più afflitti con aneddoti simpatici, stringeva mani, rimetteva peccati, perdonava chi lo umiliava.

In delle tende buie, senza neppure la luce delle stelle, il sacerdote e il suo popolo adoravano Cristo Eucaristia, che veniva a consolare e a brillare nelle notti più fonde.

Questa storia, in un periodo particolare come quello dell’Avvento, ci sproni a seguire Gesù in modo più deciso. Che ognuno di noi possa essere una piccola grande luce, nelle prigioni che tante donne e tanti uomini vivono nel nostro tempo, dentro alle carceri fisiche e materiali, ma anche dentro a quelle invisibili, morali e spirituali.

Fonte: “Van Thuan. Libero tra le sbarre”. Un libro per scoprire che la vera libertà risiede nel cuore – Family And Media




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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