ASPETTANDO IL NATALE
Un dialogo universale all’ombra del presepe

di Paola Ciniglio
Roma, città eterna, si trasforma ogni anno in un palcoscenico cosmopolita dove le culture si incontrano e dialogano. Quest’anno, la mostra dei 100 Presepi in Vaticano ha offerto un’ulteriore testimonianza di questa straordinaria capacità di unire popoli e tradizioni diverse. Oltre ad essere una celebrazione artistica, l’esposizione è diventata un simbolo di speranza e di fraternità, un ponte che collega Oriente e Occidente, Nord e Sud.
Tra i numerosi presepi provenienti da ogni angolo del globo, tre opere in particolare hanno catturato la mia attenzione lo scorso 8 dicembre, quando è stata aperta la mostra dei 100 Presepi al Vaticano: il presepe di Grado, con la sua maestria artigianale; la Navidad Mexicana di Coahuila, che ha portato un tocco di colore e vitalità; il presepe di Betlemme, un toccante omaggio alla terra della Natività. Ma è stato l’incontro inaspettato tra queste opere d’arte e la presenza in Piazza San Pietro di una delegazione israeliana, nel giorno dell’Immacolata Concezione, a rendere questa edizione della mostra un evento davvero unico e memorabile.
Il presepe di Grado è un omaggio alla storia e alla cultura della città. Gli artigiani che l’hanno realizzato hanno voluto rappresentare un momento particolare della vita dei pescatori gradesi, catturando l’essenza di un’epoca passata. Ogni dettaglio, dalla foggia delle imbarcazioni ai vestiti dei personaggi, è stato curato con grande attenzione per garantire la massima fedeltà alla realtà. Immagina di trovarti di fronte a una piccola laguna, con le sue acque calme e le sue isolette caratteristiche. È proprio questo lo scenario che il presepe di Grado riproduce con minuziosa precisione. Le case dei pescatori, i casoni, le barche ancorate e le canne palustri creano un’atmosfera autentica. Al centro di questa scenografia, la Sacra Famiglia trova rifugio in una delle tipiche abitazioni lagunari, unendo così la sacralità della Natività alla bellezza della natura. La scelta di rappresentare la Natività in un ambiente così semplice e naturale invita a riflettere sulla vera essenza del Natale, lontana da eccessi e superficialità.
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Colorato, vivace e ricco di simbolismi, è invece il presepe messicano che si trova all’interno della Basilica di San Pietro. Le figure, realizzate con materiali poveri e riciclati, raccontano la storia della Natività attraverso gli occhi di un popolo che ha fatto della festa del Natale un momento di grande condivisione e partecipazione. Il presepe è ricco di riferimenti alla tradizione religiosa messicana, con particolare attenzione alla figura della Vergine Maria e alla devozione popolare. All’inaugurazione, infatti, caratteristica è stata la scelta dei vari artigiani di presentarsi con un abito tipico messicano sapientemente decorato con l’immagine della Vergine di Guadalupe. In Messico, il Natale è una festa che si celebra in famiglia e con tutta la comunità. Il presepe rappresenta, allora, il desiderio di vedere riunita la Chiesa tutta come un’unica famiglia che adora l’unico Salvatore.
Ma la svolta emotiva del percorso è sicuramente data dalla presenza del presepe di Betlemme, con il Bambino avvolto nella kefiah, uno dei più emozionanti della mostra. Questo gesto simbolico, che richiama la difficile situazione del popolo palestinese, scuote inevitabilmente le coscienze. «Se Gesù dovesse nascere oggi, sarebbe nato sotto le macerie a Gaza» affermò l’anno scorso il pastore luterano di Betlemme Munther Isaac. Il grido che invoca la pace trasuda dal legno d’olivo della Terra Santa, dilaniata da un conflitto odiato da entrambe le fazioni. Non a caso, nel giorno dell’Immacolata Concezione, mentre i fedeli si recavano in Piazza San Pietro per celebrare la festa, una scena inattesa ha commosso i presenti: una delegazione israeliana, con la sua bandiera, si è unita a tutti gli altri. Segno di un’umanità che non smette di sperare.
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