Il Vangelo letto in famiglia

«In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»

Leggendo il Prologo del Vangelo di Giovanni ci troviamo davanti al principio della Storia. Il Verbo eterno di Dio, attraverso il quale è stato creato il mondo, l’universo, gli oceani, le costellazioni, le catene montuose, attraverso il quale siamo stati creati tutti noi, non solo si è incarnato in un bambino, ma è racchiuso in un pezzo di pane, che è l’Eucarestia, e molti purtroppo ritengono che non sia possibile. In effetti, umanamente non è possibile: se ci fermiamo a riflettere, se ci mettiamo a ragionare, la nostra fede sembra affievolirsi, ci viene quasi voglia di non credere più a niente, di abbandonare le nostre assemblee, le parrocchie, la Chiesa stessa. Perché è proprio così: ci troviamo dinanzi all’impossibile.

Dal Vangelo secondo Giovanni

Gv 1,1-5.9-14

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.

Parola del Signore.

IL COMMENTO

di don Gianluca Coppola

Eppure, l’impossibile si trasforma in possibile, perché Gesù nasce e si fa carne a Betlemme, città il cui nome significa “città del pane” o “città della carne”, perché i piani di Dio sono meravigliosi e senza difetto, ed era già tutto scritto, perfino nel nome della città prescelta. Da questo momento, comincia il viaggio che ci condurrà, insieme a Gesù, da Betlemme a Gerusalemme. E allora, se l’impossibile diventa possibile, perché ancora dubitiamo, perché ancora non siamo convinti di poter superare tutto ciò che in qualche modo ci schiaccia, ci adombra, ci toglie la gioia e la pace, perché non crediamo che Gesù possa trasformare davvero la nostra vita? Da Betlemme a Gerusalemme, Dio sovverte le regole, gli schemi del nostro cuore e ci dice che Lui è il Dio dell’impossibile, e questa consapevolezza non può smarrirsi non appena incontriamo una difficoltà, non appena ci imbattiamo in un dolore. Il Signore, il Verbo Eterno si fa uomo, si fa carne e nell’Eucarestia c’è Colui attraverso il quale tutto ciò che è intorno a noi è stato creato. Se questa certezza abitasse realmente nel nostro cuore, non avremmo più alcuna paura della morte, ma saremmo persone piene di vita, di gioia, di bellezza.

Infatti, il Vangelo afferma: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». L’uomo è stato creato come essere eterno; se non fosse stato per il peccato originale, non ci sarebbe stato bisogno neppure della Chiesa. Dio, infatti, aveva pensato e creato per noi un paradiso terrestre senza morte, senza malattia e lacrime. Ma nonostante ciò, nel momento in cui l’uomo ha cominciato ad apprezzare più le tenebre che la luce, è subentrato il male, il dolore. Nel Preconio Pasquale, citando Sant’Agostino, si dice: «Felice colpa che meritò un così grande Salvatore». È una frase stupenda, di un impatto letterario fortissimo, perché ci dice che Dio si è incarnato in Gesù per riportare l’uomo alla salvezza originaria “in principio”, per riprendere le parole del Prologo di Giovanni. Gesù viene nel mondo, si incarna in un bambino per riportarci a quel principio di salvezza. Se noi tornassimo a quel principio di luce che è Cristo, non solo in senso emotivo ed emozionale, ma a livello esistenziale e profondo, saremmo in grado di risolvere ogni nostro problema.

Ma come si manifesta Dio? Il Vangelo ci dice: «Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui». Ecco, Dio si manifesta attraverso strumenti insufficienti, perfino Giovanni Battista lo era, come lo siamo tutti noi. Guai se cominciassimo a pensare che abbiamo gli strumenti per la salvezza, guai se cominciassimo a pensare di aver capito tutto di Dio, guai se cominciassimo a ritenerci cristiani migliori di altri. Giovanni Battista non era la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Da Betlemme a Gerusalemme, anche il nostro viaggio consiste nel dare testimonianza alla luce, e questo non deve renderci superbi perché non è una luce che proviene da noi, è la luce di Cristo. Quando incontriamo Dio avviene qualcosa di straordinario, diventiamo perfino più belli, ma dobbiamo ricordare che questa bellezza è di Dio, è Lui che splende attraverso di noi, non è una luce che possiamo produrre da soli. Siamo esattamente come la luna, che non brilla di luce propria, ma solo perché illuminata dal sole. Non a caso, i Padri della Chiesa amavano ripetere che la Chiesa è la luna e Dio è il sole che la illumina.

Il viaggio da Betlemme a Gerusalemme, allora, è anche un viaggio di abbassamento. In teologia, per fare riferimento al fatto che Dio ha scelto di incarnarsi, si parla di kenosis, che è il termine con cui si vuole indicare l’abbassamento di Dio verso di noi. Il Natale, pertanto, è una Lectio magistralis di questo mistero. San Paolo nella Lettera ai Filippesi, afferma: «egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce». Questo mondo sta andando in rovina perché tanta gente vive la vita cercando di diventare sempre più grande, sempre più potente. In questo momento storico, anche a livello geo-politico ce ne stiamo accorgendo, perché ci sono venti di guerra da quasi tutte le nazioni. Invece, la vita di un cristiano dovrebbe essere il processo inverso, dovremmo desiderare di diventare sempre più piccoli, ritornare a quella piccolezza originaria in cui Dio ci ha fatto, essere in grado di riconoscere che non abbiamo scelto dove o quando nascere, non abbiamo scelto chi essere, non abbiamo scelto il colore dei capelli, degli occhi, la forma fisica, e così via. Se Gesù ha vissuto la sua vita intera così, e se un cristiano non è altro che un ripetitore e un imitatore di Gesù, noi siamo chiamati a contemplare nel mistero del Natale proprio questa piccolezza, che non significa autocommiserazione o autolesionismo, ma avere l’umiltà di riconoscersi realizzati solo nelle mani di Dio, attraverso le quali possiamo diventare qualcosa di straordinario.

Ma dobbiamo fare attenzione, in quanto, proprio perché la luce di cui dobbiamo dare testimonianza non proviene da noi, spesso possiamo perderla, smarrirla. «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo, e il mondo è stato fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo ha riconosciuto». Nonostante siamo stati creati dalla luce, a volte non la riconosciamo. Questa è la storia dell’umanità dal peccato originale in poi: come scritto in Genesi, Dio camminava con gli esseri umani alla brezza leggera della sera, insieme passeggiavano, Dio era per loro il migliore amico e insieme erano una sola cosa. Eppure, a un tratto la tenebra, attraverso il serpente, diventa più affascinante, più attraente, gli uomini si fidano di quel serpente più che di Dio. Da quel momento, noi siamo diventati incapaci di riconoscere la luce. Pertanto, nel nostro viaggio da Betlemme a Gerusalemme, che è la vita stessa, dobbiamo recuperare la capacità di riconoscere quella luce. Quali sono le tenebre che attanagliano il nostro cuore? Quali sono le cose che ci allontanano da Dio? Cosa significa davvero festeggiare un Natale di luce?

«Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto». I suoi, che non lo hanno accolto, siamo proprio noi, anche noi che ci identifichiamo come persone di Cristo, perché spesso non Lo accogliamo. «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati». Quanto è liberante sapere che non abbiamo scelto proprio niente. Quando ero bambino, volevo cambiare il mio nome perché era difficile essendo un nome composto, e chiedevo insistentemente a mia madre di fare qualcosa a riguardo. Non ho scelto di essere così, non ho scelto niente perché sono stato chiamato da Dio all’esistenza. Questa può sembrare la cosa più banale del mondo, ma accettare questa verità ci libera da tante paure, da tante preoccupazioni, perché in ogni momento della nostra vita possiamo affermare che il Signore ci ha voluti fortemente e ci ha amati fin dal principio: ci ha chiamati, ci ha preso dal nulla, ci ha plasmato nel grembo delle nostre madri.

Abbiamo iniziato un viaggio bellissimo da Betlemme a Gerusalemme, quel giorno in cui, senza averlo scelto, siamo stati messi al mondo. È stato l’inizio del viaggio più bello, la vita, e questa vita, se diventa un dono restituito a Dio, si trasforma in qualcosa di meraviglioso, nonostante le ferite.

Allora in questo Natale, chiediamo al Signore di illuminare la nostra vita. Immaginate la nostra anima o il nostro cuore come una sorta di recipiente in cui vengono riversati dei liquidi: se il recipiente è pieno d’acqua, non potrà essere riempito dall’olio dello Spirito, perché sappiamo bene che scientificamente acqua e olio non si amalgamano tra loro. Per riempirci di Spirito Santo, allora, dobbiamo svuotarci di tutto ciò che ci fa del male, e questa è un’opera che soltanto il Signore può compiere soltanto. Natale è il mistero di un Dio che si fa bambino umile, e desidera che ciascuno di noi faccia lo stesso. Chi entrerà nel Regni dei Cieli? Solo chi si sarà reso piccolo, chi avrà svuotato il proprio recipiente dell’acqua sporca dei peccati, dei vizi, delle inconsistenze, degli errori. Chiediamo al Signore di splendere nel nostro cuore, di eliminare l’acqua sporca da questo contenitore della Grazia che Lui ci ha donato; chiediamogli di riempire la nostra anima con l’olio dello Spirito, l’olio della salvezza.


Gianluca Coppola (1982). È presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Per scrivere a don Gianluca: giancop82@hotmail.com




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Gianluca Coppola

Gianluca Coppola (1982) è presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato Dalla sopravvivenza alla vita. Lettere di un prete ai giovani sulle domande essenziali (2019) e Sono venuto a portare il fuoco sulla terra (2020).

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