CORRISPONDENZA FAMILIARE

“Nessun bambino è un errore”. Recuperiamo lo stupore

23 Dicembre 2024

Presepe

Il mistero che avvolge la nascita di Gesù è unico e irripetibile. E tuttavia, la luce divina nascosta nel Bambino di Betlemme è presente in ogni altro bambino che viene al mondo. “Nessun bambino è un errore”, ha detto ieri il Papa durante la preghiera dell’Angelus.

Di Silvio Longobardi

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto”: con poche e scarne parole l’evangelista Luca descrive quello che per lui e per noi è l’evento più importante di tutta la storia: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”. Trentasei parole nel testo greco, compresi articoli e preposizioni. Un linguaggio conciso ed essenziale che non lascia spazio alcuno a quella ricostruzione fantasiosa e suggestiva. Nel racconto non c’è ombra di quella retorica con la quale spesso vengono condite le biografie di santi, non si accenna ad angeliche apparizioni angeliche né si parla di altri eventi prodigiosi. La narrazione è tutta avvolta nella più grande semplicità. 

Non sappiamo se durante il parto Giuseppe rimane accanto a lei oppure, come suggeriscono alcuni testi apocrifi, si allontana in cerca di una levatrice. Una lettura più attenta del brano di Luca – in cui tutti i verbi sono al singolare – fa pensare che la giovane fanciulla vive l’evento senza alcun aiuto umano. Eppure, se leggiamo il brano nel suo contesto immediato, notiamo che fino a quel momento era Giuseppe il soggetto della vicenda: “Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide” (Luca 2,4). All’improvviso scompare, resta solo Maria. 

Quando si avvicina il momento del parto la sofferenza fisica assume una tale intensità da togliere il respiro. Il parto chiede una sorta di immersione primordiale nel mistero della creazione, quasi una lotta tra la vita e la morte. E tuttavia, nel racconto non si accenna minimamente al dolore del parto e alla sofferenza fisica di Maria. Tutto avviene nella più assoluta normalità, senza sforzo alcuno. L’assenza del dolore non evita la naturale fatica e l’istintiva paura che ogni donna vive ogni volta che attraversa questa via stretta che conduce alla vita. 

Ogni nascita è un fatto sconvolgente e straordinario, un evento che zittisce ogni parola. Ricordo un film (My life, 1993) in cui Michael Keaton interpreta il ruolo di un uomo che, sapendo di dover morire a causa di un cancro, gira una serie di filmati per parlare di sé al figlio che sta per nascere, è presente con la sua telecamera anche al momento del parto, riprende tutto ma… quando nasce il bambino si ferma stupito, rapito dinanzi al miracolo della vita, e dimentica di filmare il momento in cui viene alla luce. 

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Se ogni nascita suscita una cascata di emozioni, quello che avviene nella grotta di Betlemme supera ogni razionalità. Maria non solo può vedere finalmente il volto del bambino che per nove mesi ha custodito nel suo grembo ma… è consapevole di stare alla presenza di un Dio che si è fatto Bambino. E quando lo stringe a sé l’incontenibile gioia della maternità è strettamente intrecciata dal sacro stupore che prova dinanzi al Dio Onnipotente che ha scelto di farsi piccolo.

Cosa ha provato Maria quando ha preso tra le sue braccia quel piccolo bambino che appariva in tutto uguale agli altri neonati? Impossibile descrivere i sentimenti della giovane madre. Questa è materia per i poeti. Rainer Maria Rilke (1875-1926) legge così la notte di Betlemme: 

L’Iddio che era in corruccio con le genti, / s’è conciliato…. E viene al mondo in te. /  Forse più grande lo sognavi, Madre? 

Contemplando il Bambino, avvolto nei panni, Maria impara a conoscere il volto di Dio, quel Dio Altissimo che tante volte aveva invocato ora si presenta come una piccola e indifesa creatura. Ma proprio quel bambino custodisce e rivela il vero volto dell’uomo. 

Un’altra pagina di straordinaria poesia è stata scritta da un autore insospettabile, quel Jean Paul Sartre (1905-1980) che tutti conoscono come il maestro dell’umanesimo ateo. Nel Natale 1940, durante la prigionia in un campo nazista, ha scritto un’opera teatrale in cui descrive ciò che prova la Vergine in quella notte santa:

Ciò che bisognerebbe dipingere sul viso di Maria è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne e il frutto del suo ventre. L’ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. […] Lo guarda e pensa: questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo, che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive”. 

Il mistero che avvolge la nascita di Gesù è unico e irripetibile. E tuttavia, la luce divina nascosta nel Bambino di Betlemme è presente in ogni altro bambino che viene al mondo. “Nessun bambino è un errore”, ha detto ieri il Papa durante la preghiera dell’Angelus. Ha invitato tutti a sostenere e difendere “il valore sacro della vita dei piccoli fin dal loro concepimento nel grembo materno”. Ed ha concluso con una preghiera: “Maria, la Benedetta fra tutte le donne, ci renda capaci di provare stupore e gratitudine davanti al mistero della vita che nasce”. È questa la gioia del Natale, scoprire che ogni vita è un dono da accogliere e custodire. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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