Annunciando le date per la canonizzazione dei beati Carlo Acutis e Piergiorgio Frassati, Papa Francesco ha detto che “i laici non sono una specie di collaboratori esterni o delle truppe ausiliari del clero, no, hanno dei carismi e dei doni propri con cui contribuire alla missione della Chiesa”. Questa speciale unicità deve essere messa al centro, valorizzata, diffusa perché può suscitare davvero tanto bene e tanto desiderio di imitazione. Sia Piergiorgio che Carlo sono stati giovani meravigliosi. In entrambi il contesto familiare non ha favorito la fede. Nel caso di Piergiorgio il contesto familiare è stato perfino ostile ma questo non gli ha impedito di maturare una profonda spiritualità che oggi lo vede presentarsi come un modello per tanti giovani.
Il papà Alfredo, giornalista ed editore del quotidiano La Stampa, successivamente senatore e ambasciatore a Berlino, scrive al figlio per dissuaderlo dalla sua fede: “Bisogna che ti persuada, caro Giorgio, che la vita bisogna prenderla sul serio, e che così come tu fai, non va: né per te, né per i tuoi, i quali ti vogliono bene e sono molto amareggiati per tutte queste cose che succedono troppo spesso e si ripetono sempre monotone e dolorose. Ho poca speranza che tu cambi, eppure sarebbe strettamente necessario cambiare subito: prendere le cose con metodo, pensare sempre con serietà a quello che devi fare, avere un po’di perseveranza. Non vivere alla giornata, senza pensiero come uno scervellato qualunque. Se vuoi un po’ di bene ai tuoi devi maturare. Io sono molto, ma molto di cattivo umore”.
In famiglia non riescono ad accettare gli atteggiamenti del giovane: preferiva pregare il Rosario, frequentava le riunioni della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), andava a Messa ogni giorno. E tutto questo per un padre anticlericale era inammissibile. Una perdita di tempo. Doveva invece impegnarsi, come lui aveva fatto, ad avere successo e prestigio. Piergiorgio invece a 17 anni sceglie la comunione quotidiana, diventa terziario domenicano, fonda durante gli anni universitari al Politecnico la “Società dei Tipi Loschi”, cioè di coloro che vogliono servire Dio in perfetta letizia, andava lì dove i poveri vivevano a prestare assistenza e aiuto. Studiava Ingegneria mineraria perché voleva lavorare accanto ai minatori per migliorare le loro condizioni. aiutava quotidianamente le famiglie che avevano tanti problemi.
Quando il padre gli propose tramite un amico di entrare nell’amministrazione de “La Stampa” rinunciando al suo desiderio di lavorare fra i minatori Piergiorgio accettò perché voleva vederlo felice. Un giorno, ad un amico che gli aveva domandato che cosa avrebbe voluto fare dopo gli studi, rispose: «Non lo so: sacerdote no, perché è una missione troppo grande e non ne sono degno; il matrimonio no. L’unica soluzione sarebbe quella che il Signore mi prendesse con sé. Il giorno della mia morte sarà il più bello della mia vita».
Quel giorno arrivò il 4 luglio 1925 per una poliomielite fulminante. Al suo funerale resero omaggio migliaia di persone della Torino umile e povera per cui Piergiorgio si era tanto prodigato. I genitori erano sconcertati. Quel giorno fu l’inizio della loro conversione. Scriverà il papà Alfredo alla cognata Elena: “Cara Elena, […] la vita è finita realmente: ogni giorno che passa vedo più chiaramente l’abisso: mi parevano meno grevi i primi giorni. L’ho sempre nel cuore. Nessuno ha compreso cos’era Pier Giorgio per me: il mio orgoglio, la mia passione. Vedevo in lui in realtà tutte le belle qualità che avevo sognato di avere io, che non ho avute, ma vedevo anche nel suo carattere intransigente e buono, il mio carattere intransigente e non cattivo: vedevo nell’affetto suo per gli umili, il mio affetto, mi pareva che in lui si fosse moltiplicato per miliardi quel po’ di non cattivo che c’è in me”.
Piergiorgio aveva scelto di non diventare sacerdote e di non sposarsi. Visse pienamente la sua vocazione di laico impegnato così come il buon Dio gli suggeriva. Pienamente, senza sconti, ancorato fortemente a Gesù Eucaristia. Ed è stato così nella Chiesa quel dono unico e speciale che oggi risplende nella gloria.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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