Il Vangelo letto in famiglia
II DOMENICA DI NATALE – Anno C
Lasciamoci sorprendere dalla luce di Cristo
Il Vangelo che proclamiamo in questa seconda domenica dopo Natale, il Prologo di Giovanni, è molto enigmatico, ma è caratterizzato da una potenza lirica e una bellezza disarmante. Esso è infatti scritto da una persona che ama e chi ama, si sa, trasforma tutto in poesia. Ricordo che, la prima volta che lo lessi, anch’io ne restai molto affascinato, pur non comprendendolo fino in fondo. Eppure, questo passo mette in risalto una caratteristica del Vangelo che spesso trascuriamo: la Parola di Dio è così bella da risultare un capolavoro.
Dal Vangelo secondo Giovanna (Gv 1,1-5.9-14)
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
IL COMMENTO
di don Gianluca Coppola
Mi piacerebbe partire proprio dalle battute finali del passo in questione: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato». È un’affermazione di una potenza straordinaria: nessuno di noi ha visto il Padre. Gesù è Colui che per primo rende visibile il mistero trinitario al mondo intero: è il Figlio che rivela il Padre, e lo fa attraverso la via dell’incarnazione. «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi»: in teologia, il termine tecnico è kenosis, che significa “abbassamento”. Siamo dinanzi all’umiliazione dell’onnipotenza: Dio si abbassa a tal punto da prendere la carne umana, atteggiamento inaudito per qualsiasi divinità del passato. Il Dio cristiano entra nel mondo come un bambino fragile, indifeso; il Dio cristiano è un Dio che, per salvare me e te, sceglie la via dell’incarnazione, sceglie di farsi piccolo. Dal momento che è Gesù a rivelare Dio, capiamo, dunque, di non poter immaginare Dio se non passando attraverso il volto di Gesù, attraverso il suo modo di fare, di parlare, il suo modo di esistere. E capiamo anche di non poter conoscere Dio se non attraverso questo bambino, questo Verbo che si è fatto carne.
Pertanto, ribadire l’importanza dell’incarnazione ci fa comprendere che Cristo non è quel Dio lontano, onnipotente quasi in modo spaventoso, non è come alcuni dèi delle culture più antiche che talvolta godevano delle disgrazie degli uomini. Non solo, ma soffermarci sull’umanità di Gesù ci fa comprendere che non esiste verità su Dio al di fuori della sua incarnazione. Ciò annulla in un attimo tutte le congetture fantastiche, romantiche, talvolta anche bellissime, ma assolutamente false che spesso costruiamo su Dio, insieme alle nostre pretese nei suoi confronti. Quante volte abbiamo confuso il suo intervento con una sorta di incantesimo, quante volte abbiamo desiderato che Dio intervenisse, quasi magicamente, nelle nostre vite e sistemasse ogni nostro problema, curasse ogni nostra sofferenza. Ma questa è una versione romanticizzata di Dio, lontana dalla realtà, perché Dio è vero uomo e, come la nostra, anche la sua vita è stata costellata di difficoltà. Se mettiamo da parte tutte le nostre congetture romantiche, ci troviamo di fronte alla realtà di un uomo, Gesù di Nazareth, che ha vissuto una vita che più di ogni altra cosa ci insegna la pazienza e la sofferenza. A ben guardare, non c’è stato niente di glorioso nella sua esistenza. In un altro passo del Vangelo di Giovanni, Gesù afferma: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Con questa frase, Gesù anticipa che soltanto il momento della crocifissione, e dunque l’apice del suo dolore, rivelerà a tutti la sua gloria piena. In modo particolare, il Prologo di Giovanni mostra un Dio che decide di farsi uomo per andare incontro agli uomini, per fare in modo che essi non disperino più. Questa seconda domenica di Natale, allora, ci fa fare i conti con il fatto che la nostra vita è costituita anche da momenti dolorosi, proprio come quella di Gesù; questo passo del Vangelo è Dio che ci dice che Lui è in mezzo a noi, che è proprio come noi. Questo ci fornisce la giusta chiave interpretativa per molte delle nostre sofferenze: esse non vengono per annientarci. I problemi, le difficoltà non sono per la nostra distruzione, ma per la nostra santificazione. Tutto ciò è difficile da comprendere, perché il dolore annebbia la vista, non ci permette di vedere con lucidità. Eppure è vero, molte delle nostre sofferenze sono, in realtà, la strada per la santificazione. Se non avessimo avuto tante battute di arresto, tante delusioni, tante ferite e tanti dolori che purtroppo hanno toccato anche le persone attorno a noi, oggi forse saremmo persone meno belle, oggi forse saremmo persone insensibili, persone che guardano gli altri dall’alto in basso, con la superbia di chi non ha mai sofferto nella vita. Soltanto chi tocca con mano la vera sofferenza impara cos’è l’amore, ed è stato così anche per Gesù.
Soffermiamoci ora su un altro passo splendido di questo Vangelo: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta». Ecco vedete, in queste parole è racchiuso il senso stesso del Natale. È inutile girarci intorno, le feste natalizie suscitano sempre tanta nostalgia nel cuore: nostalgia del tempo che passa, nostalgia di persone care che non ci sono più. La gioia del Natale sembra essere sempre guastata, almeno in parte, dalla malinconia. Ma non dobbiamo cadere nella tentazione di pensarla così, perché l’unico vero senso del Natale è, appunto, l’incarnazione, è la luce che finalmente viene nel mondo, una luce che neppure le tenebre possono vincere.
Cosa fa la luce? Banalmente, illumina. Eppure, la cosa non è così banale. Tecnicamente, la luce rende possibile la visione delle cose, dona colore e profondità, ci permette di avere concezione dello spazio, della realtà stessa. La luce rende visibile la realtà, è la sua funzione naturale, senza la luce noi non potremmo vedere ciò che vediamo. Senza la luce non potremmo essere, non potremmo immaginare, non potremmo creare. Nel Prologo di Giovanni, Cristo ci viene presentato come la luce, come la luce vera, e ciò ci dice che, al di là di quella che conosciamo, c’è un’altra realtà ulteriore da scoprire, più autentica, più profonda. Perché è vero, la luce si contrappone alle tenebre, ma ancor di più si contrappone alla falsa luce. Distinguere tra la luce e le tenebre, se nel fare le nostre scelte ci appelliamo a determinati valori, risulta piuttosto facile; discernere la vera luce dalla falsa luce è decisamente più complicato. Gesù allora giunge nella vita di ciascuno di noi come la luce vera: c’è una luce che brilla anche nella tua sofferenza, nella tua tristezza, perché un cuore realmente riconciliato con Dio è un cuore che vince ogni battaglia. Questa vita, in fondo, è preparazione all’incontro con Dio; se noi pensiamo che la nostra esistenza sia basata su cose che qualcuno può sottrarci, sulla materialità della nostra vita, su ciò che la luce ci permette di vedere e di toccare, non abbiamo capito nulla né della vita, né del Vangelo, né del Natale, perché la verità è che esiste una Luce che nessuno può vincere, né un dolore, né un problema economico, né, ahimè, un lutto. Esiste la Luce vera che entra nel mondo e ci indica un’altra realtà, che inizia oggi e non finisce mai più, perché siamo creature eterne.
Il nostro compito, allora, è quello di aprire il cuore a questa Luce. Ma il Vangelo è molto chiaro a riguardo: «Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». Qui non si sta parlando dei non credenti o dei nostri fratelli che professano altre religioni: sono “i suoi” a non accoglierlo, coloro che spesso sono convinti di stare nella luce perché semplicemente fanno il proprio dovere, coloro che si reputano buoni cristiani perché partecipano alla messa domenicale e ciò è sufficiente per farli sentire in pace con la propria coscienza, soddisfatti. Ma la Luce vera è venuta proprio per rompere gli schemi di chi pensa di stare nella luce e in realtà non lo è, di chi crede di aver capito tutto e invece non ha capito niente.
Quest’anno, forse più degli altri anni, dobbiamo lasciarci sorprendere dalla luce di Cristo, che è novità, e farlo praticamente, apportare un cambiamento concreto in tutti quegli aspetti della nostra vita che spesso lasciamo nelle tenebre o nella falsa luce. Cos’è che, nella tua vita, non è secondo Dio? Nel tuo matrimonio, nella tua famiglia, nel tuo sacerdozio, nel tuo lavoro, nel tuo studio, nel tuo rapporto con gli altri? Quali sono quelle dimensioni della tua vita che non sono secondo Dio, che non sono illuminate dalla luce vera? E non parlo solo del peccato, perché qualunque sia il nostro peccato non sarà mai più grande della misericordia di Dio. Parlo di quei modi di essere e di vivere, di accogliere, di amare, che pensiamo vadano bene e in realtà non sono secondo Dio, non seguono il suo esempio, il suo insegnamento.
Gesù viene a illuminare queste tenebre per portare la luce vera. E non viene al mondo in modo inconsistente, immateriale: «Il Verbo si fece carne». Il termine utilizzato, “carne” e non “uomo”, è molto forte perché dà l’idea della concretezza, del sangue, delle vene. Cristo si è fatto carne, non qualcosa di spirituale, aleatorio, che non coinvolge la vita di tutti i giorni. Si è fatto carne e tocca la mia quotidianità, ciò che sono. Questo ci dice che non possiamo vivere una vita basata sull’apparenza, su una parvenza di pace, sul politicamente corretto volto a non scontentare nessuno. Non possiamo vivere una vita basata sulla menzogna, sulla falsa luce.
È nella sua carne che Cristo ci ha salvati, perché l’uomo non è stato fatto per il male. Quando affermiamo che siamo uomini e nati, quindi, per compiere azioni malvagie, stiamo sostenendo una terribile menzogna. Proprio in quanto uomini, siamo nati per fare opere stupende, perché al momento della creazione dell’uomo «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona». Nell’ebraico originale, questa espressione è in realtà un suono onomatopeico, un’espressione di meraviglia, perché Dio si compiace della sua stessa opera. Ciò che Dio crea, questa carne che Dio crea così perfetta, bella, magnifica, non può essere fonte di male, soprattutto se torniamo a Dio. Scopriamo allora che il dono più grande che possiamo fare a noi stessi è la santità, è camminare secondo questa luce. Il mondo in cui viviamo è pieno di gente che è contro Dio e contro la luce che combatte le tenebre, la menzogna, la bugia. La nostra carne, il nostro corpo, in Dio diventano lo strumento per una santità che cambia il mondo. Ecco allora che anche in questa domenica riscopriamo il senso profondo del Natale, che ci invita a rifiutare la mediocrità, a non cercare più le certezze nelle cose materiali, che ci spinge a voler essere illuminati dalla luce vera, quella che ci permette di scorgere le profondità eterne di Dio e che ci guida nel fare scelte di santità, di amore e di accoglienza.
Gianluca Coppola (1982). È presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Per scrivere a don Gianluca: giancop82@hotmail.com
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