Tre lunghe settimane. Quelle che hanno caratterizzato la prigionia di Cecilia Sala, giornalista, 29 anni arrestata in Iran dove era arrivata il 12 dicembre. Le autorità iraniane hanno detto solo che era stata incarcerata per «aver violato le leggi della Repubblica islamica». Quali leggi? Cecilia era detenuta nel carcere di Evin: dormiva per terra in una cella con la luce sempre accesa, e aveva un limitatissimo accesso a comunicazioni esterne. Durante la sua detenzione ha ricevuto un’unica visita, quella dell’ambasciatrice italiana in Iran. Successivamente era stata spostata in una stanza più grande insieme a un’altra detenuta, una donna che non parlava inglese ma con cui Sala si intendeva a gesti. I carcerieri le avevano anche portato un libro. In una telefonata col suo compagno Daniele Raineri, giornalista del Post, Cecilia gli aveva detto: «compralo anche tu, così lo leggiamo insieme, a distanza».
Non voglio entrare in tutte le vicende che hanno portato alla liberazione di Cecilia. Le polemiche che in questo momento ruotano intorno alla sua scarcerazione sono fuori luogo. Il governo italiano ha avuto certamente un ruolo importante e bisogna riconoscerlo. Punto. Credo che ciascuno di noi nelle condizioni di Cecilia avrebbe avuto dritto a tutte le azioni possibili pur per riportare a casa una nostra connazionale al di là del fatto che il padre è amico di Tajani o che la famiglia sia dell’alta borghesia. Certamente ci aspettiamo che lo stesso trattamento sia dovuto a qualsiasi altro sconosciuto italiano. Se così non fosse, facciamo bene a recriminare ma per ora gioiamo per Cecilia.
Ha scelto un lavoro non semplice. La sua voce mi è nota. Seguo con grande interesse il suo podcast quotidiano “Stories” su Chora media. Mi piace il suo modo femminile di raccontare la realtà. Forse le nostre idee non concordano su alcuni aspetti ma le sue storie rivelano una parte di mondo da una prospettiva molto interessante, quella ravvicinata, quella dell’incontro. Lei va sul posto, guarda negli occhi i protagonisti delle sue storie, raccoglie le loro voci, in qualche modo ci porta nel viaggio con lei. E questo non è sempre facile per un giornalista.
Le sue storie sono scomode. Intercetta delle reali ingiustizie, specie per le condizioni femminili di tante donne, e dà voce ai loro bisogni, ai loro sogni come Zara, 20 anni, afgana, che vuole fare il medico chirurgo ma dopo il primo semestre, i talebani introducono il divieto delle donne di frequentare l’università e così il sogno di Zara svanisce o delle condizioni in Ucraina delle donne e dei bambini che stanno pagando il prezzo più alto di questa assurda guerra.
E poi penso a cosa ha significato il periodo di prigionia di Cecilia per i suoi genitori, per il fidanzato, per gli amici che la vogliono bene. Forse le scelte professionali di questa giovane donna sono un po’ azzardate ma è lecita una domanda rispetto alle regole del diritto internazionale e dei diritti umani da parte delle autorità iraniane. Sono completamente ignorate e nessuno alza la voce. Una giovane donna lo fa con i suoi strumenti, la sua voce e la sua empatia. Devo dire che i giovani in tanti aspetti sono molto più coraggiosi e concreti di tanti adulti imbalsamati. Bentornata Cecilia!
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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