“È speciale vincere l’Australian Open per la seconda volta” ha detto Jannik Sinner ai giornalisti mentre stringeva tra le mani il trofeo a Melbourne. Spenti i riflettori ha dichiarato: “Ho sentito i miei, per sentire se era tutto a posto a casa. Poi siamo andati a cena. C’era anche mio fratello con noi. È stato un momento molto bello, ci siamo presi del tempo per noi, era quello che ci serviva dopo queste due settimane”.
Confermo l’intuizione iniziale per questo ragazzo ma anche per i suoi genitori. Considerato uno dei più grandi tennisti italiani di sempre e uno dei più forti della sua generazione, non ha perso l’autenticità e la freschezza dei suoi anni e spero che la mantenga negli anni. Cresciuto a Sesto Pusteria in una famiglia di madrelingua tedesca, è figlio di Siglinde e Hanspeter, che hanno lavorato presso il rifugio Fondovalle in Val Fiscalina per 20 anni fino al 2022. Prima della nascita di Jannik i genitori avevano adottato Mark, nato in Russia. Nelle dichiarazioni pubbliche del giovane Sinner c’è sempre un’attenzione per i genitori, una coscienza del potenziale grande che questa mamma e questo papà gli hanno trasmesso.
In una dichiarazione rivolgendosi direttamente ai genitori aveva detto: “Ci siamo persi tante cose…”. Sì perché aveva dovuto lasciare precocemente il nido familiare per inseguire il sogno e la passione per lo sport. E questo certamente è stato difficile per lui ma anche per i suoi genitori. Quando un figlio se ne va così presto il dolore è grande. Lo conosco bene, ho imparato a conviverci in questi sette anni in cui nostro figlio ha scelto di trasferirsi lontano a 900 km di distanza da casa per studiare ingegneria e inseguire il suo sogno. Ci vuole coraggio ad accompagnare un figlio alla stazione ferroviaria e a salutarlo sorridendo ma è quello il passaggio decisivo. È quello il momento in cui da genitori si diventa maestri di vita.
È importante imparare a lasciarsi senza perdersi. È la strada necessaria per amarsi per davvero. Cosa avrei dovuto dire a mio figlio? Resta qui con noi perché sei l’unico figlio e devi colmare tutte le nostre esigenze affettive? Accontentati di quello che puoi imparare qui? Cosa avrebbero dovuto dire i genitori a Sinner: resta qui e impara anche tu a cucinare come noi e insieme a noi? È un desiderio egoistico quello di tarpare le ali. Un genitore sa che mandando un figlio nel mare aperto così giovane e inesperto dovrà attraversare mille pericoli e peripezie. E non ci sarà lui a salvarlo, a proteggerlo, a evitare le tempeste. Un genitore può trasmettere l’audacia, la fortezza d’animo, può indicare la fede come appiglio sicuro ma deve restare nel porto. A pregare, attendere, vigilare senza mai sostituirsi.
La ricerca del proprio posto nel mondo è importante e i nostri figli hanno il dovere di cercarlo e il diritto di avere adulti di riferimento che insegnano a navigare anche nella tempesta. Mille volte avrei voluto dire a mio figlio di tornare a casa specie nelle curve più difficili, avrei voluto essere lì a preparargli semplicemente un piatto di pasta quando rientrava da un esame difficile, avrei voluto asciugare le sue lacrime che certamente avrà versato senza dirmelo, avrei voluto sollevarlo da ogni fatica ma non sarei stata un buon genitore. È triste pensare che educhiamo i nostri giovani ad una vita senza fatica e senza passioni. L’arte del distacco è una delle più difficili da padroneggiare. Solo lasciandoli affrontare le sfide e superare gli ostacoli da soli, possono sviluppare la forza necessaria per affrontare la vita con coraggio e determinazione.
Insegnare loro l’arte del distacco non significa abbandonarli, ma piuttosto essere pronti ad offrirgli il nostro sostegno quando ne hanno bisogno, senza però interferire nel loro percorso. Significa avere fiducia nelle loro capacità e credere che possano farcela, anche quando tutto sembra andare storto. È il cammino reciproco di crescita, fatto di piccoli passi e grandi conquiste, dove ogni caduta diventa un’opportunità per rialzarsi più forti di prima. In fondo, l’amore dei genitori non si misura con la vicinanza fisica, ma con la capacità di accompagnare i figli nel loro viaggio, assicurando loro che, nonostante le distanze e le difficoltà, ci sarà sempre un porto sicuro a cui tornare.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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