DIRITTO ALLA VITA
Quando comincia la vita? La testimonianza degli sposi Agata e Marco

“Ci è capitato – dicono Agata e Marco, entrambi Universitari per la vita – di parlare con alcuni adolescenti di un liceo, i quali ci hanno riferito di non essersi mai fermati a riflettere che cosa l’aborto sia realmente. È proprio qui che vogliamo agire: fornire a tutti gli strumenti per sviluppare un senso critico sulle tematiche che riguardano la vita”.
Domenica 2 febbraio 2025 avrà luogo la 47ª Giornata per la vita. In vista di questa ricorrenza, che si presenta come un prezioso momento di riflessione, abbiamo voluto approfondire la tematica dell’impegno per la vita nascente dialogando con due giovani sposi, coinvolti negli Universitari per la Vita di Genova, Marco e Agata.
Chi siete, cosa fate e come nasce l’impegno in difesa della vita fin dal concepimento?
Siamo Marco ed Agata, due giovani sposi che si sono conosciuti all’interno degli Universitari per la Vita (sezione di Genova), un gruppo di giovani nato il giorno dell’Epifania del 2020 che difende il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, sensibilizzando specialmente i giovani universitari ad una cultura pro-life. Marco ha deciso di entrare nel gruppo su invito della sorella e soprattutto per approfondire le tematiche e sostenerle con maggior vigore. Agata invece perché ha capito di poter finalmente concretizzare un desiderio che portava nel cuore fin dall’età di 17 anni, quando alla domanda del professore di filosofia “Per cosa sareste disposti a battervi?”, aveva già percepito la chiamata a impegnarsi per la difesa della vita.
Perché potete affermare con certezza che la vita sia degna sin dai primi istanti? Quali sono le ragioni che guidano il vostro agire?
La ragione, la scienza e la fede concordano sul fatto che la vita di una persona cominci nell’istante del concepimento.
Noi crediamo fermamente che ogni vita sia un dono di Dio e che, come tale, sia degna di essere vissuta. Ogni persona è unica e irripetibile e nessuno può arrogarsi il diritto di interrompere la vita di qualcun altro. Fin dal primo istante in cui avviene il concepimento esiste una persona che merita di essere accolta, difesa e accompagnata a venire al mondo, indipendentemente dal suo sviluppo o dalle circostanze nelle quali è avvenuto il concepimento. Interrompere il suo processo di formazione in qualsiasi fase corrisponde a sopprimere una vita, la quale, senza interventi esterni (aborto), continuerebbe a svilupparsi fino al suo termine naturale. Nel corso del nostro apostolato, abbiamo avuto l’occasione di ascoltare le storie di persone che hanno deciso di abortire e di altre che invece hanno portato a termine gravidanze anche in condizioni difficili. Ciò che possiamo affermare con sicurezza è che vi è una grossa differenza tra le due condizioni: da un lato, abbiamo conosciuto molte donne che hanno subito i danni dell’aborto, sia fisici ma soprattutto di carattere psicologico e spirituale, i quali tendono a prorogarsi nel tempo. Abbiamo però anche potuto toccare con mano la bellezza di chi ha accolto la vita con coraggio e che lo racconta a testa alta, con gli occhi lucidi.
Secondo voi, perché invece ci sono persone che non riconoscono la dignità della vita in grembo? Quali sono le obiezioni che più spesso ricevete? Avete avuto occasione di vivere dialoghi interessanti su questo tema con chi la pensa diversamente?
Fondamentalmente è un problema di formazione e di informazione. A partire dagli anni Sessanta è iniziata un’azione mediatica e culturale volta a diffondere idee contrarie a quanto si è creduto per secoli e secoli di storia e questo ha portato – sta portando – alla normalizzazione di pratiche come l’aborto e l’eutanasia che non solo la fede, ma anche la ragione e la coscienza umana hanno sempre rigettato. Un aspetto che ha generato e continua a generare confusione è il fatto che esistono diverse definizioni di “gravidanza”. Il dibattito riguarda in particolare il suo inizio, messo in discussione da non molti anni. La scienza ha sempre affermato che essa abbia inizio con il concepimento, mentre più recentemente alcuni studiosi hanno fatto coincidere la sua genesi con il momento dell’impianto nell’utero, il quale avviene circa una settimana dopo il concepimento. Questo ha fatto sì che molti siano portati a pensare che non esista una persona, ma solo un “grumo di cellule”, oltre a giustificare l’uso di alcuni metodi contraccettivi (in realtà abortivi) che vanno ad agire prima dell’impianto.
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Di fatto, la cultura dominante nella quale siamo sempre più immersi non è a favore della vita perché fondata su principi errati e menzogneri. Ad esempio, pochi sanno che la legge 194 è stata approvata cavalcando l’onda emotiva suscitata dal disastro ecologico di Seveso (1976) diffondendo dati falsi riguardo agli effetti della diossina sui feti.
Purtroppo, in questi anni non abbiamo avuto la possibilità di organizzare dei dibattiti, trovando anche ostacoli e opposizioni proprio nell’ambito universitario. È capitato però di discutere riguardo a questi argomenti nei commenti delle nostre pagine social. Tra le obiezioni più comuni troviamo:
Il feto non è una persona;
Il feto non sente dolore;
Deve essere consentita la scelta di abortire;
Il bambino è stato concepito in uno stupro pertanto farlo nascere porterebbe solo altra sofferenza alla madre e al bambino;
L’aborto non ha conseguenze fisiche e psicologiche, è un’operazione tranquilla;
L’aborto è un diritto, quindi non c’è motivo di opporsi
Molti sostengono che l’aborto va garantito perché la donna “è già qualcuno”, mentre l’embrione “è qualcuno solo in potenza”. Cosa pensate su questo?
Questo è uno degli slogan che si sentono ripetere più spesso e che stanno alla base dell’aborto inteso come espressione di una libertà di “scelta”. In fondo, l’aborto esiste perché si pensa che il bambino abbia meno diritti della madre (o, meglio, che non ne abbia proprio), in quanto non ancora nato. In realtà, come sostiene Mario Palmaro nel testo Aborto & 194, «non è la crescita ciò che conferisce dignità umana. Se così fosse dovremmo dire che un uomo alto due metri è più uomo di uno alto un metro e mezzo. Oppure che un adulto è più uomo di un bambino». Normalmente, siamo abituati a pensare che siano le persone in maggior condizione di fragilità quelle a necessitare di più protezione, perciò come si potrebbe mai pensare che un bambino nel grembo materno non debba essere tutelato più di ogni altra persona? Proprio qui si è giocata gran parte dell’opera del fronte abortista: nel convincerci che l’embrione non sia una persona e, dunque, che non abbia diritti.
Come si fa a conciliare amore per la vita senza giudicare chi vive una situazione difficile? In quale modo comunicate la vostra missione?
Noi teniamo ad annunciare la verità in modo obiettivo e diretto, in quanto pensiamo che i messaggi annacquati non portino da nessuna parte. Allo stesso tempo, stiamo molti attenti a fare in modo che le nostre affermazioni non risultino offensive per chi può aver fatto scelte che noi riteniamo profondamente immorali. Condanniamo i fatti illeciti e mai le persone. La nostra missione nel mondo pro-life è principalmente di natura culturale. Pensiamo infatti che sia fondamentale fornire alle persone una visione diversa rispetto a quella che viene propagandata. Questo è importante soprattutto per la fascia giovanile della popolazione, alla quale viene presentata una visione a senso unico in cui l’aborto è un diritto indiscutibile e riconosciuto. Ci è capitato di parlare con alcuni adolescenti di un liceo, i quali ci hanno riferito di non aver mai sentito parlare dell’aborto in modo negativo da nessuno prima di noi e di non essersi mai fermati a riflettere che cosa esso sia realmente. Un’altra strategia del mondo abortista è quella di nascondere le immagini che mostrano cosa è l’aborto, in quanto sanno perfettamente che smuoverebbero molte coscienze. È proprio qui che vogliamo agire: fornire a tutti gli strumenti per sviluppare un senso critico sulle tematiche che riguardano la vita, per fare in modo che nessuno si ritrovi ad assorbire passivamente ciò che viene imposto di pensare.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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