SPERANZA NELLA VITA ETERNA
Mamma perde il figlio: “Cercavo un crocifisso per arrabbiarmi; ho avuto occhi nuovi”

“Dopo aver perso mio figlio, cercavo un crocifisso solo per arrabbiarmi: ‘E io dovrei fidarmi di te? – gli ho detto – Non ha senso quello che permetti nella mia vita! Mi verrebbe voglia di abbandonarti, di non seguirti più…’ Ero furiosa. In quel momento, però, nel cuore mi riecheggiarono le parole di Pietro: ‘Signore, da chi andremo? Solo tu hai parole di vita eterna!’. Il giorno dopo, un vero e proprio miracolo.
Nel giugno del 2020, incinta di undici settimane, scoprii di aver avuto un aborto interno. Ero già madre di due bimbi e aspettavamo il terzo.
Una piccolissima perdita, la corsa in ospedale, la scoperta drammatica. Il cuore di mio figlio non batteva più. Aveva smesso di farlo a nove settimane.
E ora si trovava nel mio grembo, inerme. Io e mio marito non avevamo dubbi: dovevamo onorare la sua vita fino alla fine. Ho chiesto di fare il raschiamento e di avere indietro quel microscopico corpicino, per potergli dare un funerale. Il personale sanitario mi guardava come se fossi pazza. Mi dissero che solitamente non si fa. “Guarda, che è piccolissimo”.
“Non importa, è stato tempio di un’anima immortale”. Inoltre, credevo fosse mio diritto. In fondo era o no mio figlio?
Per lo stato, un feto, a quell’età è solo materiale organico. Gli embrioni e i feti abortiti finiscono in un inceneritore, ma io volevo che avesse una piccola bara bianca e che riposasse accanto a mia madre. Fu un’impresa, ma alla fine ottenemmo tutti i permessi, grazie all’aiuto delle pompe funebri, che, vedendo la nostra determinazione e il nostro dolore, non solo ci procurarono tutta la documentazione, ma ci regalarono perfino il funerale!
Tre anni dopo, quando la ferita dell’aborto sembrava rimarginata (anche se certe piaghe non si rimarginano mai del tutto) rimasi incinta di nuovo. Scoprii la gravidanza il 13 luglio 2023. Il 16 luglio (giorno del nostro anniversario di matrimonio), però, un altro aborto spontaneo: il piccolo o la piccola non era riuscito nemmeno a impiantarsi nel mio utero ed era scivolato via, dopo pochissimi giorni dal concepimento… Fu uno shock. Non me l’aspettavo proprio.
Ricordo, però, che durante una Messa, cercavo risposte dal Signore, mi chiedevo se quel figlio fosse stato o meno importante e persino se ci fosse stato un “vero figlio”. Il sacerdote, per tutta l’omelia, parlò della dignità degli embrioni, di quanto poco conti il tempo e il grado di sviluppo davanti alla vita eterna creata da Dio. Mi commosse e mi diede speranza.
Cercammo subito un‘altra gravidanza. Scoprii di essere incinta la notte di san Lorenzo, il 10 agosto 2023. Espressi un desiderio, lo gridai al Cielo: quel figlio volevo fosse per me.
L’indomani ci recammo presso il Santuario della Madonna di Loreto, confidai a un sacerdote il mio terrore di perderlo di nuovo.
Mi disse: “Se è capitato altre volte non significa che capiti di nuovo”.
Affidai quella gravidanza alla Madonna. Chiesi anche a un sacerdote che stimo e che mi segue spiritualmente da anni di pregare per quella nuova gravidanza. Mi rassicurò: “Tranquilla, vado subito ad affidarvi alla Madonna del Divin Parto”.
La gravidanza andava bene, il piccolo – un maschietto – cresceva e io ero sempre più serena. Avevamo anche superato le fatidiche 12 settimane, iniziavamo a dare la bella notizia. I miei figli non vedevano l’ora di conoscere il fratellino.
Il 26 ottobre, però, quando ero quasi a 15 settimane, il ritorno di un incubo. Una perdita. La corsa in ospedale. Anche stavolta mio figlio non c’era più.
Per tre volte il Signore mi chiedeva di accettare una cosa assurda. Un dolore inimmaginabile. Una spada che si conficca nel cuore. Ricordo di aver cercato un crocifisso nell’ufficio della ginecologa solo per dirgliene quattro. “E io dovrei fidarmi di te? – gli ho detto, dopo averlo trovato – Guarda, non ha senso quello che permetti nella mia vita! Mi verrebbe voglia di abbandonarti, di non seguirti più…”. Ero furiosa.
In quel momento, però, nel cuore mi riecheggiarono le parole di Pietro: “Signore, da chi andremo? Solo tu hai parole di vita eterna!”.
Prima di tornare a casa e preparami al calvario del giorno dopo (mi avrebbero indotto il parto) decisi di tornare sui miei passi e condividere quel momento di passione con il Signore. Non capivo, ma più volte fidandomi di Lui ero rimasta stupita. Volevo dargliene ancora la possibilità. Così, mi sono fatta accompagnare nella Chiesa dell’Adorazione perpetua, che da anni è aperta nella diocesi di Jesi, dove Gesù Saramento è sempre esposto, anche di notte. Erano circa le 23. Ho messo davanti a Lui la mia rabbia, il dolore. Non avevo altro da dare. Dentro di me, allora, una sorta di intuizione: “Sarai testimone della resurrezione”.
“E in che modo, – mi sono domandata – se vedo solo la morte, se sono immersa nel buio?”.
Nessuna risposta, in quel momento.
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Tornai a casa. Dormii poco o nulla. La mattina dopo, mi presentai in ospedale. E pensavo: “Nessuna donna deve sentirsi costretta a vivere questo! È uno strazio!”.
Vedevo mamme stanche e felici con i loro bambini. Sono scoppiata a piangere.
Mi sono seduta nel letto, senza poter confidare a nessuno come mi sentissi. Il personale era molto impegnato e mio marito NON POTEVA STARE CON ME (!), mentre i papà degli altri nati sì.
Un’ingiustizia che ad oggi (dopo la mia denuncia in ogni parte del mondo da me raggiungibile e le innumerevoli condivisioni della mia storia, sembra sparita in quell’ospedale).
Vicino al letto c’era lo stesso fasciatoio in cui, sei anni prima, avevo cambiato il mio primo bimbo appena nato. “Volevo tornare in questo reparto con un bimbo vivo”, ho gridato al Signore. Dio era con me, lo sentivo, ma questo non annullava il mio lutto.
Mi sono detta che non dovevo pretendere di stare bene in quel momento. Anche Maria era sorretta da una fede ben più grande della mia, eppure aveva pianto, sotto alla croce.
Ciò che mi pesava di più era che mio marito non poteva stare: “Voi non sapete cosa sia l’umanità – ho detto all’infermiera, verso le 14, mentre mi contorcevo per i crampi causati dalle pillole che indicevano il parto – Neanche dei cani si lascerebbero soli in un momento simile. Avete idea di cosa possa voler dire per una donna, fisicamente ed emotivamente, partorire un figlio morto? Voi e i vostri stupidi protocolli!”.
Dopo averli minacciati di raccontare quella violenza ostetrica in ogni canale di comunicazione raggiungibile col mio lavoro, la caposala ha acconsentito e ha fatto entrare mio marito.
È stato lui, vedendomi soffrire tanto, soprattutto emotivamente, a chiedermi se volessi farmi portare la comunione in stanza dal cappellano.
Esattamente due minuti dopo aver ricevuto l’Eucaristia, il mio corpo era pronto per il parto e, soprattutto, avevo un cuore nuovo. Infatti, in quel momento, non ho visto più la morte, ho visto solo un figlio. Non avevo più rimpianti, ma solo gratitudine per averlo avuto con me.
È scesa in me una pace che – posso assicurarvelo – non avevo mai provato in tutta la mia vita.
Mio figlio poteva non morire. Lo so. Gesù poteva toccarlo e fare il miracolo.
Eppure, mi sono fidata. Fidata e basta. Ho sperato contro ogni speranza che Gesù potesse aiutarmi. “Ora sei qui, Signore – gli ho detto mentre la comunione scendeva dentro di me – adesso sì, posso affrontare tutto, anche un parto assurdo… te lo offro, per tutti i bambini rifiutati e per tutte le persone che scelgono volontariamente ciò che io non avrei mai voluto vivere…”.
E da lì, tutto è cambiato. Dio ci ha donato occhi risorti. Ora so davvero che morte è stata sconfitta, è un passaggio, non la fine.
Abbiamo chiamato quel piccolo Emanuele, come desiderava il mio figlio maggiore. Io non ero convinta, fino a prima dell’aborto, ma poi ho capito che non c’era nome migliore. In quella occasione, più che in ogni altra della mia vita, avevo sperimentato forte che Gesù è il “Dio con noi”.
Mesi dopo, mi sono tornate in mente le parole del sacerdote a cui avevo chiesto di pregare per la gravidanza: “Ti affido alla Madonna del Divin parto”.
Che parto divino poteva mai essere quello di una mamma che mette al mondo un figlio morto?
Eppure, nulla è impossibile a Dio!
La preghiera è stata ascoltata, perché solo Maria permette a Gesù di trasformare l’acqua in vino. Ed è per mezzo di lei che il Figlio viene e… trasforma la morte in vita. Così ha fatto per noi.
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