A Monfalcone (Gorizia), una preside ha deciso di consentire a due studentesse di frequentare la scuola indossando il niqab, a patto di farsi riconoscere all’arrivo da un docente, donna. Una scelta che apre molte riflessioni: è davvero attraverso questo tipo di concessioni che passa l’integrazione?
La scuola non è solo un luogo di istruzione, ma il primo crocevia delle relazioni umane e sociali. Qui si impara a dialogare con chi è diverso da noi, a confrontarsi con idee e visioni del mondo differenti, costruendo così le basi per una società più coesa e inclusiva. Ma tutto ciò è possibile solo se le relazioni sono trasparenti, se la comunicazione è libera di esprimersi anche attraverso quei canali non verbali che comprendono espressioni del volto e sguardi.
Il niqab, con la sua copertura quasi totale, rappresenta un limite evidente a questa trasparenza. Non è semplicemente un capo d’abbigliamento: è un simbolo che veicola un messaggio di segregazione e di negazione della visibilità dell’individuo. Non è solo una questione estetica, ma una barriera culturale che rischia di cristallizzare una separazione tra chi è visibile e chi non lo è. Consentirlo a scuola equivale a legittimare una distanza che dovrebbe invece essere colmata attraverso il dialogo e l’apertura.
L’integrazione reale non si ottiene accettando passivamente ogni espressione culturale, ma trovando un equilibrio tra il rispetto delle diversità e i valori fondanti della nostra società. Capisco il desiderio di evitare conflitti e di garantire la frequenza scolastica a tutti gli studenti come ha dichiarato la dirigente, ma credo che esistano limiti che non possono essere oltrepassati senza compromettere i principi di base della convivenza democratica. La scelta della preside rischia di inviare un messaggio ambiguo: quello per cui i valori della parità e della trasparenza possono essere sacrificati in nome di un malinteso senso di tolleranza.
L’integrazione reale passa attraverso il dialogo, l’incontro e la condivisione e un’educazione reale all’affettività e dunque al rapporto con il proprio corpo oggi quanto mai necessaria sia per evitare quelle derive oscurantiste per cui il corpo femminile deve essere negato e nascosto sia per quelle che in senso opposto esibiscono il proprio corpo mettendo tutto in mostra. Abbiamo bisogno in questo del coinvolgimento delle famiglie. Ma è davvero possibile? Perché non si percorre la strada più faticosa invece di tirare la questione da una parte all’altra dei partiti politici? Forse perché fino in fondo a nessuno interessa davvero il bene di queste ragazze?
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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