“Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore”: due sposi si raccontano

di Nicola e Giulia Gabella
La nostra storia di famiglia non è andata come ci immaginavamo. Ci siamo conosciuti nel 1989 a Lourdes durante un pellegrinaggio con l’Unitalsi. Fu tutto bellissimo. Volevamo una famiglia gioiosa e numerosa. Dopo una prima gravidanza che si interruppe, è nato Samuele. Fu un evento bellissimo e stravolgente. Due anni dopo, è nata Sara. Lei, con la sua disabilità, ci ha scosso violentemente fin dalle nostre fondamenta di persone e di coppia…
C’era una volta… un re! Diranno i nostri – piccoli e grandi – lettori.
No, il nostro Re non c’era una volta; c’è ancora oggi e sempre ci sarà. Stiamo parlando di Gesù il Cristo, Re dell’Universo, il Nazareno, il buon Pastore, lo Sposo. “Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre” (Eb 13,8).
E ci siano noi, Nicola e Giulia Gabella di Bologna, sposi in Cristo da oltre 28 anni, tre figli ormai grandi e il desiderio di servire il Signore Gesù nel modo in cui Lui ci chiede.
E quale è questo suo modo? Il bello è che non lo sappiamo mai prima… lo impariamo di volta in volta, cosa Dio vuole da noi.
In quasi 29 anni di vita matrimoniale tante sono state le volte in cui Dio ha chiesto il nostro “sì”, il nostro “eccoci”. Spesso questo è capitato nell’incontro con l’altro, nella relazione, nell’accoglienza nella nostra casa, e nella nostra vita, di giovani fidanzati, che poi sono diventati sposi e, a Dio piacendo, genitori.
Tante volte il Signore ci ha anche chiesto di portare la nostra testimonianza di vita sponsale in luoghi pubblici: parrocchie, associazioni, piazze… sì, anche piazze, in particolare per due volte abbiamo portato il nostro racconto di sposi e famiglia nella “famigerata” Piazza Verdi di Bologna, davanti a tanti giovani di ogni “forma” e siamo sopravvissuti!
Quando ci capita di incontrare fidanzati in preparazione al matrimonio o gruppi di giovani, e meno giovani, o sposi solitamente iniziamo la testimonianza partendo dalla Parola di Dio, questo per affermare chiaramente che il Maestro è Gesù.
Il brano da cui partiamo solitamente è preso dalla Prima Lettera di Giovanni: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1,1-4).
Scegliamo questo brano perché l’Apostolo Giovanni ci parla di un’esperienza di relazione con Dio molto reale e concreta, addirittura fisica; i verbi usati sono relativi ai nostri sensi: “ciò che abbiamo udito… veduto, contemplato e toccato…”. La nostra religione è qualcosa di veramente particolare e unica: se la prendiamo sul serio davvero ci cambia la vita.
Incontrando queste persone, che il più delle volte non conosciamo, ma che riconosciamo come fratelli in Cristo, il nostro desiderio unico è quello di fare loro un annuncio. Lo stesso annuncio di cui scrive Papa Francesco in Evangelii Gaudium: «Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”» (n.164). Quando il Papa dice che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale.
Nel fare questo annuncio Giulia ed io non nascondiamo le nostre ferite, le nostre debolezze, le nostre fragilità e i nostri dubbi. Non vogliamo assolutamente che si possa pensare di noi che siamo “bravi” e “forti”: noi siamo un uomo e una donna fragili e limitati. Se siamo ancora in piedi lo dobbiamo all’amore di Dio e alla Grazia del Sacramento del Matrimonio.
La nostra storia di famiglia, infatti, non è andata come ci immaginavamo, come avevamo programmato. Ci sono stati degli imprevisti che richiedevano e richiedono tutt’ora di essere accolti.
Ci siamo conosciuti nel 1989 a Lourdes durante un pellegrinaggio con l’Unitalsi. Fu tutto bellissimo e bellissimo è stato il cammino che insieme abbiamo intrapreso dopo quell’esperienza. Dopo esserci laureati entrambi (ma in Facoltà diverse) il 26 marzo del 1996 ci sposammo il 2 giugno di quell’anno.
Volevamo una famiglia gioiosa e numerosa, aperta alla vita e al prossimo; ora, dopo oltre 28 anni di matrimonio, possiamo affermare che tutto questo è accaduto, però in modi e per strade che non avevamo immaginato, che mai avremmo pensato per noi.
Dopo una prima gravidanza che si interruppe naturalmente dopo alcune settimane, ad aprile del 1998 è nato Samuele. Fu un evento bellissimo e stravolgente, come tanto bene lo sanno fare i bambini con i capelli rossi.
Due anni esatti dopo, nell’aprile del 2000, è nata Sara. Sara non aveva i capelli rossi, ma solo una ciocca, e anche il suo arrivo fu per noi stravolgente, ma questa volta nel senso che ci scosse violentemente fin dalle nostre fondamenta di persone e di coppia.
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Sara non si alimentava: non si è mai attaccata al seno e non ciucciava nemmeno dal biberon; dovevamo usare dei biberon morbidi da spremere con le mani e quindi “costringerla” ad inghiottire il latte. Le cose andarono meglio quando passammo alle pappe, ma man mano che il tempo passava vedevamo pieni di angoscia che non faceva grandi miglioramenti: non stava seduta, non gattonava, non si alzava in piedi, e più avanti non iniziò a camminare e non parlava; insomma non aveva raggiunto nessuna delle tappe che normalmente un bambino raggiunge nel corso dei primi mesi e anni di vita. Sara ha iniziato a camminare e a parlare in modo incerto verso i 5 anni, e ora che ha 25 anni è una ragazza bellissima che porta e affronta con coraggio la sua disabilità.
Giulia ed io veniamo da un cammino di parrocchia fin da bambini, e quindi pensavamo di aver capito tutto di Dio e della Chiesa. Ma non era così. E lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. L’esperienza vissuta con Sara ci ha messo di fronte a tutti i nostri limiti, ha scardinato le nostre sicurezze, e tra queste anche la nostra fede in Dio. Abbiamo dovuto abbattere le macerie, spazzarle via e ricostruire in un modo nuovo.
Abbattere, spazzare via le macerie e ricostruire non è stato facile, né veloce, né automatico. Abbiamo dovuto affrontare un lungo percorso di accoglienza dei nostri limiti per riconoscere di aver bisogno di aiuto; abbiamo dovuto accettare di farci aiutare e abbiamo dovuto riconoscere che Dio stava operando in noi proprio attraverso le persone che ci stavano aiutando. Questo ci ha permesso di iniziare ad accogliere Sara per quello che era e non per quello che avremo voluto che fosse, e abbiamo iniziato a capire che il progetto di Dio era su noi due, come coppia e non era venuto meno con la nascita di una bimba un po’… “acciaccata” (perdonateci l’ironia, ma è benevola ovviamente, non potrebbe essere diversamente; spesso, una sana ironia ci ha tirato fuori da situazioni davvero pesanti).
Solo così i nostri occhi, seppur bagnati dalle lacrime, hanno potuto vedere quel Dio che prima conoscevamo solo per sentito dire. Ora noi lo vediamo e riconosciamo il dono della vita, il dono di ogni giornata passata insieme, il dono di ogni passo, di ogni parola, di ogni abbraccio e riconosciamo la sofferenza nell’altro e stiamo imparando ad accoglierla senza giudicarci, con misericordia.
Oggi possiamo dire, per grazia, insieme al profeta Giosuè: “Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore”.
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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