Santa Maria Capua Vetere: il carcere, i colori della libertà

Cosa accade quando un muro diventa tela? Quando il cemento grigio di un carcere si trasforma in un’opera d’arte? Quando chi ha perso la libertà impara a raccontarla con le mani sporche di colore? A Santa Maria Capua Vetere sta accadendo qualcosa che ha il sapore della redenzione. Un carcere che si trasforma in un’officina di cultura, lavoro e riscatto. Qui si lavora, si dipinge, si cuciono abiti di alta sartoria. E lo si fa con un obiettivo chiaro: dimostrare che l’uomo non è la somma dei suoi errori, ma della sua capacità di rialzarsi.
4000 metri quadri di pittura. Il murale più grande mai realizzato al mondo prenderà vita sulle mura di un carcere. Un progetto visionario nato dall’artista Alessandro Ciambrone che non sarà solo un’esplosione di colore: sarà un viaggio attraverso 162 siti culturali, internazionali e italiani, scelti tra patrimoni UNESCO e luoghi simbolo della Campania. Ogni modulo del murale racconterà un frammento di storia, accompagnato dal nome del paese e da una frase di un suo personaggio emblematico. Il progetto prenderà ufficialmente il via il 1° aprile, con l’inizio dei lavori sulle mura del carcere.
A dare il ritmo alla narrazione visiva, due parole: “Freedom” all’inizio, sfondo rosso, scritta bianca. “Libertà” alla fine, stesso stile, ma in italiano. Un’opera che, più che un record, è un manifesto: un carcere che non nasconde più, ma racconta.
I detenuti coinvolti nel progetto, grazie all’Articolo 21 del Codice Penale che permette ai detenuti di essere avviati al lavoro senza scorta, diventeranno le guide di questo viaggio nella bellezza, accogliendo i visitatori, spiegando ogni sito, e forse – senza dirlo – mostrando che anche dietro quelle mura c’è una sete di redenzione.
Alessandro Ciambrone è un architetto e artista italiano noto per le sue opere murali all’interno di istituti penitenziari, dove coinvolge attivamente i detenuti nella realizzazione delle sue creazioni. Già presso la Casa di Reclusione di Aversa ha trasformato la ludoteca dedicata ai figli dei detenuti con un murale simbolo di speranza. Inoltre, ha collaborato con i detenuti sia del carcere di Poggioreale che di Secondigliano per realizzare dei murales che promuovessero l’inclusione attraverso l’arte.
Ma a Santa Maria Capua Vetere non si dipinge soltanto. Si lavora. E si lavora sul serio. Qui non si tratta di impiegare i detenuti in attività di routine, ma di insegnare un mestiere che possa dare loro una nuova vita. La direttrice della Casa Circondariale, Donatella Rotundo, è tra i principali promotori di questa trasformazione. Sotto la sua guida, il carcere di Santa Maria Capua Vetere sta diventando un modello di reinserimento.
Le eccellenze sartoriali di valenza internazionale Marinella e Isaia, hanno aperto laboratori nel carcere, trasformandolo in una fucina di talenti nascosti. Marinella impiega 15 detenute per la realizzazione di prodotti di alta gamma. Isaia è già a quota 35, con l’obiettivo di arrivare a 50 entro l’estate. Entro il 2025, oltre 110 persone avranno una formazione spendibile fuori da queste mura.
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E non è solo teoria. Convocato dalla cabina del Giubileo di Roma, il Ministero della Giustizia ha scelto proprio Santa Maria Capua Vetere per la produzione ufficiale dei gadget del Giubileo 2025. I teloni usati per coprire le facciate ristrutturate di Roma verranno trasformati in borse dai detenuti, oggetti unici che porteranno con sé la storia di una rinascita.
E poi c’è la grande scommessa: un ristorante aperto al pubblico, gestito dai detenuti, all’interno del circuito penitenziario. Un luogo in cui il cibo diventa incontro, dove chi entra può guardare negli occhi chi sta ricostruendo la propria vita, un piatto alla volta.
Accanto al murale e ai laboratori sartoriali, nascerà anche un museo del tessile, dove troveranno spazio i quadri di Cinzia Brancato, allieva di Ciambrone, con opere dedicate al mondo femminile e diverse creazioni firmate Isaia e Marinella, testimoni del legame tra impresa e reinserimento sociale.
Un percorso che vuole mostrare il valore del lavoro e della bellezza, anche in un luogo che, per definizione, è privato di entrambe.
Questa non è una realtà isolata. Santa Maria Capua Vetere sta diventando un modello, con iniziative che vanno oltre il murale, la sartoria e il ristorante. Infatti, da poco è stata aperta, per la prima volta in un carcere italiano, una ludoteca permanente, donata da Giochi Uniti, per permettere ai detenuti di tornare bambini almeno per qualche ora. Una volta a settimana ogni reparto può accedervi e giocare insieme. In cantiere ci sono tanti altri progetti, come quello dell’ospedale veterinario e un canile, con sette corsi di formazione professionale finanziati dalla Regione Campania: pet therapy, addestramento cinofilo, vendita di animali, toelettatura. Il canile ospiterà 100 animali e sarà gestito dai detenuti. O ancora, orti idroponici e vitigni, per un progetto agricolo che potrebbe portare alla produzione di un vino tutto “made in carcere”.
I dati parlano chiaro: chi lavora in carcere ha molte meno probabilità di tornare a delinquere. Il vero problema è che, nel nostro sistema, gli ex detenuti hanno più porte chiuse che aperte. Ecco perché il coinvolgimento di imprenditori privati è cruciale: dare un’opportunità non è un atto di buonismo, ma un investimento nella sicurezza e nella dignità.
In carcere, la parola “libertà” assume un significato diverso. Non è spazio. Non è movimento. È possibilità. È riscatto. È dignità. Essere liberi non significa solo uscire. Significa sapere dove andare. È questo il messaggio che risuona tra queste mura, dove il lavoro della direttrice Donatella Rotundo ha contribuito a trasformare il carcere in un laboratorio di futuro.
Il grande murale di Santa Maria Capua Vetere racconterà questo: che la libertà non è solo uscire da un carcere. È trovare un senso. È costruire. È ricominciare.
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