EDUCAZIONE
Educando tuo figlio all’empatia fai un regalo a lui, a te e tutta la società

(Foto: GagliardiImages / Shutterstock.com)
Chi c’è dietro a un bambino-tiranno? Un genitore-suddito. Un genitore che non dice mai di no, che dà la colpa agli altri di ogni cosa, perché il figlio è perfetto. È un genitore che minimizza i gesti di violenza: non li vede, non li vuole vedere o non ne coglie la gravità. È un genitore che non mette limiti, che non considera neppure sé stesso degno di rispetto da parte del figlio.
È un mercoledì mattina come tanti. Sto andando a fare colazione con una amica, e lei, appena mi vede, mi dice: “Hai saputo?”. Le domando cosa e mi spiega: “La ragazza che ha tentato di impiccarsi è morta in ospedale”.
Nella zona in cui vivo, fatta di tanti piccoli paesini vicini, le voci corrono subito e da un paio di giorni si parlava ovunque di questa giovane diciassettenne che aveva tentato di uccidersi. Tra i motivi più accreditati, ancora una volta, il bullismo. L’avevano trovata in tempo, prima che morisse. Speravamo tutti che potesse farcela, che avrebbe avuto una seconda possibilità, invece non è stato così.
Ho provato un dolore sordo, immaginando la croce che stanno vivendo i suoi genitori. Il mio cuore si è stretto, pensando a quello che deve aver passato lei, per credere che la morte fosse meno temibile della vergogna, della solitudine.
E poi ho pensato a noi, genitori, insegnanti, catechisti, che spesso ci preoccupiamo di tante cose (dei soldi, dello sport, del programma scolastico da finire, dei compiti) ma ci lasciamo sfuggire la più importante: educare al rispetto dei sentimenti e della vita altrui.
Qualche giorno fa mia figlia è tornata a casa dicendo che un bambino raccontava orgoglioso di aver calpestato, ucciso e poi calciato un pulcino. “Ma era così carino! – gli hanno detto le bambine – Perché lo hai fatto?”. Lui ha risposto: “Perché mi andava”. Spesso, quando qualcuno piange, lui ride. E quando qualcuno lo riprende, lui risponde strafottente: “Non mi importa”.
I pedagogisti lo definirebbero un bambino-tiranno. Il bambino-tiranno non ha idea che tra le sue scelte e gli altri c’è un confine chiamato rispetto. Tutti sono suoi zerbini e non deve rendere conto a nessuno dei suoi gesti.
Leggi anche: Morire di bullismo: l’adolescente suicida di Senigallia ci insegni qualcosa – Punto Famiglia
Chi c’è dietro un bambino-tiranno? Già ai tempi in cui i miei figli andavano al nido le educatrici e le pedagogiste ci spiegavano che dietro al bambino-tiranno c’è un genitore-suddito. Un genitore che non dice mai di no, che dà la colpa agli altri di ogni cosa, perché il figlio è perfetto. È un genitore che rinuncia in partenza al ruolo di educare e minimizza i gesti di violenza: non li vede, non li vuole vedere o non ne coglie la gravità.
È un genitore che non mette limiti, che non considera neppure sé stesso degno di rispetto da parte del figlio.
Questo bambino, che uccide pulcini ridendo, non fa eccezione. Un giorno lo abbiamo incontrato al parco. Ho notato che, se doveva parlare con la mamma (e lei era impegnata in una conversazione con qualcun altro) lui la picchiava sul volto per farsi ascoltare. La madre, come se nulla fosse, smetteva di parlare con l’adulto e si concentrava su di lui, senza dare alcun peso al gesto del tutto inappropriato e indice di una lacuna molto importante.
Perché i figli crescano nel rispetto verso il prossimo, il rispetto devono vederlo e impararlo in famiglia. Il genitore lo deve esigere (per sé e per gli altri), più di qualunque altra cosa. Ne va del futuro del bambino, che un domani sarà un ragazzo e poi un uomo: un amico, un fidanzato, un marito.
Il rispetto nelle nostre famiglie deve essere considerato il pane quotidiano, il sale delle relazioni. E ogni mancanza di rispetto deve avere più peso di un brutto voto o di un piatto di verdure lasciato.
Non voglio ridurre fenomeni complessi come il bullismo o il suicidio alla fatica dei genitori di insegnare questo valore così fondamentale. Tanti possono essere i fattori scatenanti, tante le dinamiche che si istaurano in un gruppo. Diverse sono le sensibilità, le reazioni a uno stesso gesto. Tante possono essere le visioni e le incomprensioni, in una età delicata, nel fatidico passaggio dall’infanzia alla vita adulta.
Ciò che voglio dire qui è che, come già sosteneva Goleman nel 1995 (Nel suo libro “L’intelligenza emotiva”) dobbiamo educare i bambini all’empatia, aiutarli a svilupparla, ogni giorno. Egli sostiene che la mancanza di empatia è alla base dei crimini più efferati.
La violenza si corregge non solo con una sanzione verbale o una punizione materiale (togliere il cellulare, ad esempio), ma soprattutto aiutando il bambino e il ragazzo a mettersi nei panni della vittima, della persona che ha offeso. “Come può sentirsi quella bambina dopo quello che gli hai detto/fatto? Come ti sentiresti tu?”.
Correggere per tempo comportamenti di prevaricazione è importantissimo. Minimizzare gli atti di violenza dei bambini, far credere loro che non devono rendere conto delle proprie azioni o, peggio, non avvertirli delle conseguenze che le loro azioni e parole hanno sugli altri è una delle peggiori omissioni che possiamo compiere come educatori. Dei figli tiranni, che oggi picchiano una madre, si trasformeranno in compagni di classe insensibili o in fidanzati violenti.
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