La prima foto di Papa Francesco dopo l’inizio della malattia è un’immagine che parla più di mille parole. Lui è lì, nella cappella del Gemelli, di spalle, seduto sulla sedia a rotelle, avvolto nei paramenti liturgici, sta concelebrando L’Eucaristia della seconda domenica di Quaresima. Non ci guarda, e forse è proprio questo il punto.
Perché un Papa non è un uomo di scena. Non nel senso che dà il mondo alla scena. Non è lì per farsi vedere, per attirare l’attenzione su di sé. È il riflesso di Cristo, chiamato a seguirlo, non a mettersi davanti a Lui. E in questo scatto, così semplice eppure così potente, c’è tutto il senso della sua missione: guidare senza essere il protagonista, mostrare senza ostentare, servire senza cercare applausi.
Ma questa foto ha anche un altro effetto straordinario: zittisce. Zittisce i complottisti, i catastrofisti da tastiera, quelli che hanno usato la malattia del Papa come trampolino per la loro piccola notorietà momentanea. Peccato, dovranno trovare un’altra teoria su cui arrampicarsi.
E poi c’è un’altra questione: il bisogno ossessivo di apparire. Viviamo in un’epoca in cui sembra che tutto ciò che non si vede non esista. Se non posti, non sei. Se non racconti la tua vita, non conta. Se non mostri, non succede. Se il Papa non si vede, è morto. Eppure, la realtà è molto più grande dello schermo di uno smartphone, e il senso profondo delle cose spesso sta proprio in quello che non si vede. Forse è questo il messaggio di questa foto. In un mondo che vive di facciata, il Papa di spalle ci ricorda che la verità non ha bisogno di mettersi in posa.
Ci invita a ricercare il senso profondo delle relazioni, dello stare al mondo. Vedere al di là, significa oltrepassare i confini dell’apparenza, scrutare nel profondo dell’esistenza per coglierne il senso nascosto. È un viaggio interiore che porta a intuire verità invisibili, a percepire l’essenza oltre la forma, come se l’anima potesse guardare oltre il tempo e lo spazio, abbracciando l’infinito. Un esercizio che non dovremmo mai dimenticare.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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