CORRISPONDENZA FAMILIARE

Si vis pacem… para pacem

17 Marzo 2025

Non è facile entrare nelle dinamiche che hanno scatenato la guerra e hanno favorito un conflitto che dura da più di tre anni, portando morte e distruzione. Una cosa è certa: il conflitto inizia dall’aggressione della Russia. Si tratta di un dato storico inoppugnabile, al netto delle dietrologie che tendono a giustificare l’invasione come inevitabile e legittima reazione. Eventuali rivendicazioni e dissidi preesistenti potevano essere affrontati e risolti nelle sedi competenti. Gli osservatori più critici fanno notare che l’annessione della Crimea, avvenuta nel 2014, può essere considerata come il primo atto di un progetto ben più ampio che aveva l’obiettivo di occupare l’intera nazione ucraina.

Nessuno vuole la guerra ma, in questa drammatica vicenda, dobbiamo anche dire che nessuno ha cercato la pace. Non la Russia, evidentemente, che aveva tutto l’interesse a mantenere alto il livello del conflitto per vincere o comunque occupare una parte rilevante del territorio ucraino. Neppure i Governi occidentali hanno cercato la pace, alimentando una narrazione bellica che, lo sapevano fin dall’inizio, non avrebbe portato alla pace. La guerra non porta alla pace a meno di non intervenire in prima persona, con mezzi e militari. Come nella seconda guerra mondiale. Un’eventualità saggiamente esclusa fin dall’inizio per evitare di allargare ulteriormente il conflitto con conseguenze imprevedibili e irreparabili. Una terza guerra mondiale, per intenderci.

La politica dei governi europei è stata guidata da un’insopportabile ambiguità: hanno dato le armi pur sapendo – e loro lo sapevano – che non potevano bastare per ricacciare l’invasore. Continuare una guerra sapendo fin dall’inizio di non poterla vincere, manifesta l’incapacità di gestire gli eventi oppure, il che è peggio, nasconde un’intollerabile ipocrisia. L’invio delle armi aveva la sua ragione d’essere perché mirava a garantire la legittima difesa; ma, per quella paradossale eterogenesi dei fini che tante volte accade nella storia, invece di scoraggiare l’avversario ha finito per allungare e amplificare un conflitto che ha devastato il Paese e ha distrutto tante giovani vite, dall’una e dall’altra parte. La guerra ha costretto milioni di persone a vivere nella paura e tanti altri milioni a lasciare le loro case per trovare rifugio altrove.

Siamo di fronte ad una radicale distonia tra gli obiettivi cercati e i risultati raggiunti. È vero, la storia insegna che non sempre possiamo raggiungere i risultati sperati ma, in questo caso, era piuttosto evidente che, salvo improbabili ritirate da parte dell’aggressore, non vi erano le condizioni per ricacciare l’invasore nei suoi confini.

Perché dunque continuare la guerra?

A chi giova tutto questo?

Non sono in grado di rispondere a queste domande. Mi limito a registrare che dobbiamo sempre fare tutto il possibile per evitare la guerra e tutto quello che può condurre al conflitto bellico. E quando questo accade, malgrado gli sforzi, è necessario cercare e trovare immediatamente la via che conduce alla pace. Si vis pacem, para bellum, dicevano i latini. Una regola universalmente accolta che per secoli ha giustificato la propaganda bellica. Non dimentichiamo che in Italia solo nel 1947 (Governo De Gasperi) il Ministero della Guerra lascia il posto al Ministero della Difesa. Oggi corriamo il rischio di ridare fiato a quest’antica sentenza latina, facendo del riarmo l’unico argine sicuro al dilagare del male.

Leggi anche: Tre anni di guerra, troppe vittime

Non sono ingenuo e so bene che non viviamo in un mondo innocente ed è ovvio che uno Stato ha il diritto di avere le armi per difendersi. Ma sono sinceramente preoccupato quando sento che le voci che paventano una guerra sono amplificate a tal punto da togliere spazio a tutte le altre iniziative, anche a quelle che possono e devono garantire la pace.

È giunto il momento di dire: si vis pacem, para pacem. “È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?”, chiede Papa Francesco nel documento che annuncia il Giubileo. Il Santo Padre pone la pace al primo posto tra le speranze che dobbiamo custodire e promuovere per ricreare un mondo vivibile per tutti. E aggiunge: “L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti” (Spes non confundit, 8).

Richiamando queste parole, nella recente Prolusione al Consiglio Permanente della CEI (10 marzo 2025), il cardinale Zuppi ha proposto un’analisi carica di umanità e di realismo politico. Ha detto anzitutto che oggi sembra prevale “la logica del più forte” e tutti fanno la corsa a diventare più forti. Non senza amarezza ha constatato:

“Questo non sembra il tempo in cui si condivide la coscienza di essere un’unica famiglia e, purtroppo, non ci si tratta da fratelli. Anzi ci si tratta da nemici e ci si esercita nell’arte della guerra più che in quella del dialogo”.

In una situazione come questa, le voci della guerra fomentano inquietudine e paura. Abbiamo bisogno perciò di dare più spazio alle voci della pace. In primo luogo ricordando che la fraternità universale non è un’utopia ma appartiene al progetto di Dio e come tale deve essere perseguito con la massima cura. In secondo luogo, per evitare di cadere in una nuova Babele in cui “ciascuno parla solo con la sua lingua” (Papa Francesco, 9 gennaio 2025), è necessario ridare fiato al dialogo, cercando e trovando parole comuni, bilanciando gli interessi in modo da cercare un bene che interessa tutti i soggetti. Non che sia facile ma è l’unica via se vogliamo impedire una nuova guerra fredda e, Dio non voglia, conflitti ancora più aspri di quelli che insanguinano tanti Paesi del mondo.

Fare la pace costa. È vero, costringe a perdere qualcosa, anche pezzi del proprio territorio, se necessario. Fare la guerra costa molto di più. È una tragedia di immani proporzioni che stravolge un’intera generazione e lascia ferite che non si potranno facilmente rimarginare. Meglio scommettere sulla pace. Una pace duratura, anche se non risponde perfettamente a tutte le attese.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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