MEDICI SENZA FRONTIERE
Medici senza Frontiere. Chi “gioca a scacchi” con le vite umane e chi rischia la propria

nesimo, CC BY-SA 2.0, da Wikimedia Commons
Il 29 marzo saranno 22 anni dalla scomparsa di Carlo Urbani, che è stato presidente della sezione italiana di Medici Senza Frontiere, organizzazione che ogni giorno cura migliaia di persone in tutto il mondo colpite da conflitti, epidemie, catastrofi naturali o escluse dall’assistenza sanitaria. E noi, cosa possiamo fare? Ad esempio, sostenere chi spende la propria vita in questo modo.
Con orgoglio posso dire di abitare in un paese molto vicino a quello nativo di Carlo Urbani (1956 – 2003, originario di Castelplanio, AN), che è stato un medico e microbiologo italiano.
Nel 1999 Carlo Urbani è stato presidente della sezione italiana di “Medici senza frontiere” e si è impegnato fortemente per il diritto all’accesso ai farmaci per le popolazioni dei paesi in via di sviluppo. Con i soldi ricevuti dal Premio Nobel, che ha ritirato nell’aprile dello stesso anno, Urbani ha creato un fondo per promuovere una campagna internazionale di accesso ai farmaci essenziali per le popolazioni più povere.
Sabato 29 marzo ricorrerà il 22° anniversario dalla sua morte, avvenuta a Bangkok, dopo avere scoperto il virus della Sars ed esserne rimasto vittima.
È anche perché ho assimilato una testimonianza così luminosa a due passi da casa (sono stata di recente al museo a lui dedicato, a Castelplanio, assieme alla mia classe di catechismo) che sento il desiderio di promuovere, nel mio piccolo, l’iniziativa di Medici senza Frontiere.
“La nostra indipendenza d’azione si basa sulla nostra indipendenza economica, – si dice nel sito – garantita dalle donazioni dei privati, che rappresentano in Italia il 100% dei fondi raccolti. Grazie al contributo dei nostri sostenitori, possiamo intervenire in modo rapido, efficace e indipendente nei contesti di maggiore urgenza nel mondo. In caso di conflitti armati non ci schieriamo da una parte o dall’altra e non supportiamo gli obiettivi delle parti in conflitto. Le ostilità e le armi devono essere lasciate fuori dal cancello dei nostri ospedali”.
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Sono già dieci i medici dell’organizzazione umanitaria morti a Gaza dallo scoppio del conflitto, perché si trovavano in prima linea, per curare gli ultimi, lì dove altri uomini avevano portato solo devastazione a dei propri simili. Mentre i potenti giocano a scacchi con le vite umane, ci sono persone che rischiano la propria stessa pelle per salvare e portare conforto.
Un domani ci verrà chiesto dove eravamo noi, mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle venivano martoriati: sono già 50.000 i morti nella Striscia in meno di un anno e mezzo; come se una delle nostre città di media grandezza venisse completamente rasa al suolo, lasciando, forse, pochi orfani malnutriti e sfruttati.
Dove eravamo, noi, mentre, sotto agli occhi chiusi dell’Occidente, si consumava un genocidio? Che cosa diremo ai nostri nipoti, che leggeranno quello che sta accadendo ora nei libri di storia?
Il senso di impotenza può paralizzarci. In fondo, non siamo Capi di Stato, non siamo missionari, magari abbiamo una famiglia, dei figli che ci fanno preoccupare; abbiamo già tante fatiche al lavoro e, magari, dobbiamo pure pensare a come pagare l’ultima bolletta e arrivare alla fine del mese.
Probabilmente, è per questo che le tragedie del passato hanno avuto la possibilità di dilagare e di consumarsi sotto l’apparente benestare di intere nazioni. Noi comuni mortali cittadini abbiamo già così tanto a cui pensare per vivere: interessarci di qualcosa che è addirittura al di sopra della nostra portata appare impossibile.
Oppure, al contrario, se siamo più agiati, viviamo schiavi del consumismo, dell’opulenza, del nostro benessere. Siamo troppo occupati a fotografare l’ultimo piatto dello chef stellato per lasciare che il pianto di questi nostri simili ci tolga il sonno.
Eppure, possiamo scegliere da che parte stare. Se non da quella dei violenti, rifiutiamoci anche di stare dalla parte degli indifferenti.
In questo tempo di Quaresima meditiamo su cosa possiamo fare noi. In primis, senza dubbio, pregare, offrire comunioni e piccoli sacrifici per questi fratelli e sorelle devastati e per tutti quelli che crescono in terre segnate dalla guerra. Possiamo, però, anche dare il nostro piccolo contributo a chi ha scelto di chinarsi – indipendentemente dal proprio credo politico e religioso – sulle piaghe di Cristo: noi cristiani sappiamo che, proprio in quelle terre, esse sono aperte e sanguinanti anche oggi.
Per sapere di più di Medici senza Frontiere: Chi siamo: organizzazione non governativa | MSF Italia
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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