CORRISPONDENZA FAMILIARE

Giovanni Paolo II, l’uomo della speranza

31 Marzo 2025

Carol M. Highsmith, Public domain, da Wikimedia Commons

Vent’anni fa Giovanni Paolo II concludeva il suo pellegrinaggio terreno, al termine di una malattia che aveva progressivamente debilitato il suo corpo ma, per converso, aveva manifestato la sua forza interiore e la lucidità spirituale. È un uomo che ha lasciato una traccia indelebile nella storia dell’umanità. La sua vita è stata ricca di parole e gesti significativi che hanno segnato il cammino della storia, soprattutto nell’ultima parte del secolo ventesimo. Padre Federico Lombardi, che ha collaborato a lungo con Papa Wojtyla, lo presenta come “una persona che ha portato gioia e momenti di speranza ad una quantità sterminata di persone nel corso del suo pontificato”. 

Giovanni Paolo II ha chiuso gli occhi alla vita terrena nella tarda serata di sabato 2 aprile, quando la Chiesa celebra la Divina Misericordia, una festa che lui stesso aveva istituito accogliendo le rivelazioni di Santa Faustina Kowalska. Non è solo una fortunata coincidenza! Questo particolare, insieme a tanti altri, conferma l’intimo legame con il divino che ha segnato profondamente il suo lungo e fecondo pontificato. Il Papa è prima di tutto un sacerdote, un uomo che ha scelto di vivere di Dio, un uomo che ogni giorno chiede e riceve da Dio la vita e, proprio per questo, è pronto a fare tutto in nome e con la forza di Dio. 

Negli anni della giovinezza aveva scoperto il Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine di san Luigi Maria Grignion di Montfort (1673-1716). Accogliendo la proposta spirituale del Santo aveva scelto di donare la sua vita a Cristo per mezzo di Maria. Di qui la regola che illumina tutta la sua vita e orienta tutte le sue scelte: Totus tuus. Come ha spiegato lo stesso Giovanni Paolo II, sono le prime parole di una formula di affidamento alla Madonna: “Sono tutto tuo e tutto ciò che è mio è tuo, Ti prendo per ogni mio bene. Dammi il tuo Cuore, o Maria” (Dono e Mistero, 39). È una confessione di fede e anche una preghiera, quella che ogni giorno rivolge alla Madre di Dio. 

È questo il motto che sceglie nel 1958 quando viene nominato vescovo ausiliare di Cracovia e che conferma nel 1978 quando viene chiamato a sedere sulla cattedra di Pietro. Poche settimane prima di morire, quando si sveglia dopo un intervento di tracheotomia, non potendo parlare chiede una lavagnetta e, con mano tremante, scrive: Totus tuus. Queste parole sono il sigillo di tutta la sua vita, la luce che lo ha sempre accompagnato. Sono il suo testamento spirituale. 

Giovanni Paolo II era consapevole della grande responsabilità che la Provvidenza gli aveva affidato. E sapeva che, se voleva corrispondere al compito ricevuto, non poteva contare sulle sue forze, doveva continuamente affidarsi alla grazia, come aveva fatto fino a quel momento. Nel libro autobiografico, pubblicato un anno prima della morte, ricorda quella che è stata una regola della sua vita: 

“Sempre mi ha accompagnato la convinzione che, se voglio saziare negli altri questa fame interiore, occorre che, sull’esempio di Maria, ascolti io per primo la Parola di Dio e la mediti nel mio cuore” (Alzatevi, andiamo, 37). 

Quando parliamo di grandi uomini corriamo sempre il rischio di soffermarci sulle opere che hanno compiuto, come se tutto fosse espressione delle loro innate capacità. Quando parliamo dei santi, anche quelli che hanno scritto pagine straordinarie di fede e di carità, dobbiamo partire dalla preghiera. La preghiera non solo accompagna tutti i passi ma è sempre il primo passo, come testimonia lo stesso Wojtyla: “L’interesse per l’altro comincia dalla preghiera del vescovo, dal suo colloquio con Cristo che gli affida «i suoi». La preghiera lo prepara a questi incontri con gli altri” (Alzatevi, andiamo, 57). Ricordando gli anni del suo ministero episcopale, scrive che si ritirava spesso nella piccola Cappella del Palazzo: “nella vita del vescovo tutto – la predicazione, la decisioni, la pastorale – abbia inizio ai piedi di Cristo, nascosto nel Santissimo Sacramento” (p. 112).

Quella di Giovanni Paolo II è stato un pontificato lungo, dalla fine degli anni ’70 agli inizi del terzo millennio. Un periodo di grandi cambiamenti nella vita sociale ed ecclesiale. Ha saputo parlare a tutti, difendere i diritti di tutti. Non è stato solo uno strenuo difensore della dottrina cattolica, ricevendo per questo critiche spietate proprio dai suoi, ma anche un infaticabile tessitore di pace e di dialogo con tutti. Proprio lui, che veniva accusato di essere esponente di un cattolicesimo devozionale e conservatore, è stato riconosciuto e acclamato come un uomo super partes, un uomo che ha saputo stare dalla parte di tutti, specialmente dei più deboli. 

La sua figura si è gradevolmente imposta nel corso degli anni. Mentre tante stelle cadevano, la sua luce cresceva. Era la luce di Cristo che risplendeva in lui. Giovanni Paolo II è stato veramente – e solo! – l’umile vicario di Cristo, il testimone appassionato di Colui che si è fatto uomo per amore dell’uomo. 

Un uomo che fa della fede la sorgente della sua vita è per sua natura un uomo di speranza, un uomo che sa guardare lontano, non si lascia irretire dalle difficoltà del presente. All’inizio del terzo millennio, a conclusione del Giubileo, ha consegnato alla Chiesa un documento che, a mio parere, resta un vademecum che indica con chiarezza i sentieri da percorrere. Mi limito a ricordare l’esortazione conclusiva, carica di gioiosa speranza: 

Il nostro passo, all'inizio di questo nuovo secolo, deve farsi più spedito nel ripercorrere le strade del mondo. […] Il simbolo della Porta Santa si chiude alle nostre spalle, ma per lasciare più spalancata che mai la porta viva che è Cristo. Non è a un grigio quotidiano che noi torniamo, dopo l'entusiasmo giubilare. Al contrario, se autentico è stato il nostro pellegrinaggio, esso ha come sgranchito le nostre gambe per il cammino che ci attende. Gesù risorto, che si accompagna a noi sulle nostre strade, lasciandosi riconoscere, come dai discepoli di Emmaus «nello spezzare il pane» (Lc 24,35), ci trovi vigili e pronti per riconoscere il suo volto e correre dai nostri fratelli a portare il grande annuncio: «Abbiamo visto il Signore!» (Gv 20,25). (Novo millennio ineunte, 58-59). 

Negli ultimi giorni della sua vita terrena, malgrado la sofferenza, più volte si è affacciato alla finestra del Palazzo Apostolico per salutare i pellegrini presenti in piazza San Pietro. Lo ha fatto il mercoledì santo e nel giorno di Pasqua, è apparso anche mercoledì in albis. In tutti questi casi ha sempre cercato di comunicare con le parole ma non aveva voce. E tuttavia, quel gesto era più eloquente di tante parole, era il segno visibile di un padre che ha voluto esercitare fino in fondo il ministero ricevuto da Dio. A distanza di vent’anni lo ringraziamo per questa eroica testimonianza di fedeltà e alla sua intercessione affidiamo la nostra vita e chiediamo che diventi un piccolo ma luminoso frammento di Vangelo.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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