SPIRITUALITÀ CONIUGALE
Se c’è la salute c’è tutto? No: quando c’è Dio, c’è tutto. La storia di due sposi

Nicola e Giulia Gabella sono due sposi e genitori di tre figli con un’esperienza famigliare molto significativa. Qualche settimana fa, hanno iniziato a condividerla con voi lettori, lasciandovi i quattro pilastri della famiglia cristiana: preghiera, accoglienza, intimità coniugale, formazione continua. Oggi vorrei parlarvi di come tutto è iniziato e di come il loro deserto è fiorito in giardino…
Vi è capitato mai di pensare che, nella croce più grande della vostra vita, è – o era – nascosta una benedizione?
Non che la croce stessa sia un bene: resta un male. La sofferenza non è “bella”, a nessuno piace soffrire. Siamo stati creati per la gioia. Però, proprio nelle situazioni di crisi, a volte, chiediamo con più intensità che il Signore ci aiuti e questo ci permette di accoglierlo come, forse, non avevamo fatto prima.
È esattamente ciò che è successo a Nicola e Giulia.
Lo ammetto, prima di conoscerli non avrei mai potuto pensare che la malattia cronica di un figlio potesse essere vista non più come un peso ma, addirittura, come un’occasione di “guarigione”.
Di questo paradosso – che nemmeno loro credevano possibile – oggi sono testimoni. La secondogenita, infatti, è nata con un’importante disabilità – non diagnosticata nel grembo materno.
Dapprima la fatica di accettare quella difficile situazione è stata enorme, poi, però, grazie a un cammino di fede autentico e all’accompagnamento di persone preziose, la fragilità della figlia è diventata il mezzo di “purificazione” della loro capacità di amare. È grazie a quella situazione di apparente fallimento che hanno imparato a donarsi in modo disinteressato e sperimentato la vera gratuità che si vive donandosi senza aspettare nulla in cambio.
Quel deserto (non gustavano più la bellezza della vita) si è trasformato in giardino (espressione ripresa nel titolo del libro autobiografico scritto dallo stesso Nicola Gabella, in cui racconta tutto questo: Il deserto diventerà un giardino, pubblicato nel 2011, tramite ilmiolibro.it).
Per comprendere bene come tutto questo sia avvenuto, vi racconto brevemente la loro storia.
La sensazione di essere stati “traditi da Dio”
È il giugno del 1996, quando Giulia e Nicola si uniscono in matrimonio, trepidanti, desiderosi di iniziare la loro nuova vita. Dopo un primo aborto spontaneo, la coppia, di nuovo in attesa, accoglie il primo figlio. È il 1998 ed è così bello per loro essere diventati genitori che i due decidono subito di allargare la famiglia. Nell’aprile del 2000 viene alla luce la loro seconda figlia.
Stavolta, però, le cose non vanno come sperato. I dottori si accorgono subito che la piccola non si comporta in modo naturale per una neonata: dorme sempre, non mangia. In breve tempo risulta inequivocabilmente che la piccola ha dei deficit importanti.
Dalla gioia più grande, all’abisso. Così, all’improvviso. Inizia per loro una sorta di “apatia esistenziale”.
La disabilità della figlia paralizza anche loro, che si sentono impotenti, lacerati, incapaci. Come se non bastasse la loro fede vacilla: sembra che Dio li abbia dimenticati.
Anche il loro amore sponsale accusa il colpo: non riescono ad affrontare uniti quel dolore.
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La rinascita
Un sacerdote molto caro ai Gabella, conoscendo le loro fatiche, suggerisce ai due coniugi in crisi di recarsi in Assisi e conoscere una famiglia in cui due coniugi hanno adottato un bambino con sindrome di down. Inizialmente titubanti, decidono di andare per tirar fuori tutto il loro dolore. Non si aspettano molto, a dire il vero, eppure quell’incontro sarà determinante e decisivo per il loro futuro come famiglia. In primis, da loro imparano che occorre liberarsi di alcuni idoli, dall’ideale della perfezione, per poter amare l’altro veramente per quello che è e non per ciò che mi aspetto in cambio da lui, da lei. Un genitore, in particolare, deve smettere di considerare il proprio figlio un prolungamento di sé: non deve riporre in lui tutte le sue aspettative di felicità. Scoprono che un bambino disabile ha il potere di smascherare un falso amore, perché l’amore vero dà, senza pretese, anche quando l’altro non può “restituire”.
Imparano l’umiltà di chiedere aiuto – a Dio e al prossimo – e scoprono che condividere la fatica è liberatorio e sano. Imparano cosa significhi lasciarsi accompagnare da una comunità e generare essi stessi comunità.
Imparano che il sacramento del matrimonio è un dono dato anzitutto alla coppia, che il progetto di Dio è sulla coppia: i figli non sono la causa dell’amore, sono il frutto. Perciò, al primo posto, va sempre messa la cura dell’intimità coniugale.
La riconciliazione con Dio e l’apertura al mondo
Nicola e Giulia risorgono, letteralmente. Erano morti dentro, cercando in sé stessi forze che non avevano, ma sono rinati quando, come il figlio prodigo, hanno chiesto aiuto a Dio e si sono riconciliati con Lui. frutto di questa riconciliazione è stato anche il desiderio di riaprirsi alla vita, che ha permesso di venire al mondo alla loro terza figlia, nel 2003.
I doni, però, non finiscono qui: i Gabella sentono la spinta a restituire l’amore di Dio che hanno ricevuto.
Oltre al lavoro di entrambi i coniugi, ad una figlia speciale da seguire, ad altri due con le loro naturali esigenze, i Gabella decidono di spendersi “per gli altri”, di aprire le porte di casa ai fidanzati che cercano risposte sul loro futuro matrimonio, a situazioni difficili (come quando prendono l’affido del figlio di una ragazza-madre, o si aprono all’accoglienza di una prostituta, protetta da un’associazione, o decidono di aver cura di una signora anziana poco lucida senza famiglia…)
Proprio loro, che hanno tanti problemi agli occhi del mondo? Perché dovrebbero aprirsi alle sofferenze degli altri, invece di pensare alle proprie? Perché, da quando hanno imparato che la vera realizzazione della vita si trova nel dare, per i Gabella il dono di sé è diventata una esigenza del cuore, la fonte della vera pace, il segreto della gioia in famiglia.
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