“Papà, ma tu sei un assassino?”. La conversione di un uomo che ha visto l’inferno e diffonde la pace

foto di Marilena Abate

di Paola Ciniglio

Una vita nel cuore del mercato delle armi. Poi, la scelta di cambiare tutto. Ad Angri, l’incontro con Vito Alfieri Fontana, ex costruttore di mine diventato sminatore, scuote le coscienze e racconta l’orrore della guerra dal di dentro. Un viaggio drammatico e necessario verso la responsabilità della pace.

Ma lei, la notte, che cosa sogna?”. È stata questa domanda — semplice, disarmante, inesorabile — a colpire come una mina silenziosa il cuore di Vito Alfieri Fontana. A porla, uno dei ragazzi di don Tonino Bello, cresciuto alla scuola di Pax Christi, dove si formavano giovani alla nonviolenza e all’obiezione di coscienza. Una domanda capace di scavare dentro e risvegliare ferite, dubbi, verità sopite. Una domanda che, ancora oggi, Vito si porta dietro come una ferita aperta. “Aveva ragione, ha ragione ancora oggi” — ha detto con voce tremante.

E proprio quella ferita è diventata racconto, testimonianza, scelta. L’incontro che si è tenuto ad Angri lo scorso 10 aprile è stato più di una conferenza: è stato un pugno nello stomaco, un grido nella coscienza, un invito a svegliarsi. Dall’essere costruttore di mine antiuomo all’impegno per lo sminamento nei Paesi martoriati dalla guerra: la storia dell’ingegnere Vito Alfieri Fontana è la parabola di un uomo che ha scelto di non tacere, di non voltarsi, di non nascondere.

Non avete idea” ha ripetuto più volte. Non abbiamo idea del mondo che ruota intorno alla guerra: delle fiere delle armi, dei fucili Kalašnikov placcati in oro regalati agli emiri fieri, delle dimostrazioni belliche nel deserto di Dubai. Non abbiamo idea di come, per difendersi dal rimorso, si impari a guardare alle mine come semplici “lastre di ferro”, senza pensare ai corpi dilaniati che lasciano dietro. Di come i soldati vengano dopati con anfetamine e vodka, mandati in pasto ai proiettili per scoprire le postazioni del nemico. “È giusto dire ‘scatenare’ una guerra — ha detto con forza — perché ogni volta che si dà spazio alla guerra, si tolgono le catene a un mostro”.

E poi, la frase che cambia tutto. Quella detta da suo figlio, una lama che ha tagliato il cuore: “Papà, ma tu sei un assassino?”. “Da quel momento in poi — scrive Vito nel suo testo “Ero l’uomo della guerra” — dare una risposta a mio figlio è diventato il vero e unico problema della mia vita”.

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Nel suo racconto non c’è retorica, non c’è giustificazione. Solo verità crude, scandite una dopo l’altra: “Per fare la guerra non bisogna essere sani di mente. Non ci sono eroi. Ogni guerra va oltre le intenzioni di chi la scatena: prima avevano qualche problema, ora non hanno più niente”.

Drammatico e illuminante il momento in cui, con video e immagini, ha mostrato come sono fatte le mine, quanto siano invisibili, quanto sia facile confonderle con un pezzo di terra, una foglia, un giocattolo. Ha raccontato la follia di chi ha pensato di renderle più visibili rivestendole di giallo… peccato che nello stesso luogo fossero stati distribuiti aiuti alimentari in sacchetti gialli: i bambini correvano verso la salvezza, trovando invece la morte.

E poi, la denuncia forte: “Le guerre le fanno gli Stati. Le armi le fanno i privati. E i privati non si fermeranno mai, se non c’è nessuno a dire ‘basta’. Abbiamo bisogno di un comitato etico, di qualcuno che metta un freno alla follia”. Solo lo 0,4% dell’umanità fa la guerra. Ma è il restante 99,6% che ne paga il prezzo.

Il messaggio finale è arrivato attraverso la voce profetica di don Tonino Bello, in un video che ha commosso la platea. Non basta essere contro la guerra. Bisogna essere obiettori di coscienza, pacificatori. Uomini e donne capaci di creare possibilità, spiegare, disinnescare violenza con parole e gesti.

L’incontro, promosso da Angri che legge (con particolare gratitudine a Sabina Padovano e Marilena Abate) e realizzato in collaborazione con la casa Editrice Punto Famiglia, ha visto anche il saluto di Salvatore Campitiello, presidente di Assostampa Val di Sarno e rappresentante dell’Ordine dei Giornalisti, che ha ricordato come questo momento si inserisca nel cammino di speranza suggerito dal Giubileo 2025.

Un appuntamento che lascia un’eredità: la responsabilità della pace, che comincia dentro ciascuno di noi.




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