
CORRISPONDENZA FAMILIARE
Silvio Longobardi
Le lacrime sono il pane dell’amore
14 Aprile 2025

Non poche volte mi è capitato di raccogliere le lacrime dell’amore, quelle che nascono dalla fatica di vivere la relazione affettiva, sia nell’amicizia che nell’amore che unisce fidanzati e sposi. Ha ragione il salmista quando scrive che “chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia” (Sal 126). Vi sono quelli che vorrebbero subito vedere e gustare i frutti dell’amore e quelli che vogliono solo i frutti e perciò vivono ogni sofferenza come un ostacolo, una parentesi da chiudere in fretta. La saggezza biblica invece ricorda che solo chi è disposto a seminare tra le lacrime può raccogliere i frutti dell’amore.
Ai discepoli che chiedono di partecipare alla sua gloria, Gesù pone una domanda che sconfessa ogni ingenua attesa: “Potete bere il calice che io sto per bere?” (Mt 20,22). In altre parole, chiede loro se sono pronti a soffrire con Lui e per Lui. “Io accolgo te… nella gioia e nel dolore”, dicono gli sposi nel giorno delle nozze. Ma non tutti pesano queste parole e non tutti le prendono sul serio. Il dolore non fa parte dell’agenda della vita, non trova spazio nel nostro calendario dei giorni. È un nemico da evitare e da allontanare. Se dipendesse da noi, saremmo pronti a cancellare dal vocabolario ogni parola che richiama la sofferenza.
Chi vive così l’esperienza affettiva perde l’appuntamento con l’amore. Gesù insegna e testimonia che ama veramente solo chi è pronto a dare la vita per gli amici (Gv 15,13). Amare significa misurare la vita con il bene dell’altro. Non è per niente facile, anzi contrasta con l’istinto più nascosto nella natura umana, quello che impone di vivere ogni cosa, anche la relazione affettiva, in funzione dell’io. L’amore spezza questa invisibile catena. Chi ama, ha scritto Benedetto XVI, man mano che si avvicina all’altro “si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà esserci per l’altro” (Deus caritas est, 7).
Avviene così un graduale e naturale passaggio dall’eros all’agape, dalla brama di possedere l’altro per sé al desiderio di donarsi all’altro. Un passaggio necessario ma nient’affatto automatico. La via dell’amore è cosparsa di spine e molti si ritirano prima di giungere alla fine del cammino. Se manca questo passaggio, malgrado la sincerità dei sentimenti, prima o poi l’amore finisce in un vicolo cieco, lasciando nel cuore amarezze, ferite e delusioni.
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L’amore è infinitamente distante dal sentimentalismo sterile di chi cerca solo consolazioni e carezze. È fatto anche di fatica e delusioni: la fatica di amare e la delusione di non essere amato. Khalil Gibran, un poeta libanese vissuto tra Otto e Novecento, ricordava che, in amore, gioia e dolore sono due facce della stessa medaglia:
“Quando l’amore vi chiama, seguitelo, anche se ha vie ripide e dure. / E quando dalle ali ne sarete avvolti, / abbandonatevi a lui anche se, / chiusa tra le penne, / la lama vi potrà ferire. […] Poiché, come l’amore vi incorona, / così vi crocefigge, / e come vi matura, così vi poterà”.
L’amore è certamente fonte di gioia ma, al tempo stesso, è costantemente intrecciato al dolore. Chi ama non teme di soffrire con e per l’altro, l’amico o lo sposo. E accetta anche di soffrire a causa dell’altro. “Non crediamo di poter amare senza soffrire, senza soffrire molto”, scrive santa Teresa. Chi ama affronta la vita con coraggio e senza illusioni. Chi ama accoglie anche la sofferenza come un’esperienza che dona all’amore una misteriosa fecondità, secondo la parola di Gesù: “se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
L’amore si nutre anche di lacrime. Quanto più amiamo con sincerità e totalità, tanto più dobbiamo mettere in conto la sofferenza. Il tempo delle lacrime è quello più fecondo. Gesù chiama beati “coloro che piangono” (Lc 6,21). Solo nella beata eternità le lacrime saranno asciugate ma in questa vita, a causa della nostra inguaribile fragilità, sono il pane quotidiano. Dio si serve delle lacrime per ricordare che nessuna persona, per quanto amata e amabile, può rispondere all’amore che ogni cuore desidera. Aveva ragione sant’Agostino quando scriveva all’inizio del suo libro più famoso: “Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te”.
La Croce del Signore, che in questi giorni contempliamo, è l’icona di un amore che non si ritira quando l’altro viene meno. Ed è sorgente inesauribile di quell’amore che tutti siamo chiamati a vivere tanto nell’amicizia quanto nel matrimonio. Un amore tante volte ferito dai nostri errori e tante volte risorto, grazie a Colui che ci ha amati.
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