PASQUA

Il Sabato Santo: la risposta cristiana all’ansia

C’è un giorno che il Vangelo non racconta. Un giorno che scorre senza miracoli, senza parole, senza segni. Un giorno in cui tutto sembra perduto. È il Sabato Santo. Maria ci insegna a stare con occhi che vedono oltre, con la certezza che l’Amore non muore. E che anche quando non si vede, Dio lavora. Ogni tomba ha una pietra da rotolare via.

Siamo abituati a guardare la Passione sapendo già come va a finire. Conosciamo il finale. La pietra rotolata via, il sepolcro vuoto, la vita che rinasce. Ma i discepoli no. Loro non sapevano nulla. Non avevano spoiler, non avevano appigli. Solo dolore, paura e un’angoscia, che li ha spinti a scappare. Perché, quando hai creduto che quel Nazareno fosse davvero il Figlio di Dio, e poi lo vedi finire così – inchiodato, umiliato, straziato – qualcosa dentro si spezza. È l’ansia di aver sbagliato tutto. Di aver investito la vita nella persona sbagliata. È il terrore che Dio sia morto davvero. Che sia finita. E allora capisci Pietro. Capisci la fuga, il rinnegamento. Capisci il silenzio degli altri. Perché contemplare un Dio che muore è già dura, ma contemplarlo chiuso in un sepolcro è devastante.

Il Sabato Santo è questo: il giorno in cui tutto tace. Il giorno del grande vuoto. Di Dio che non parla. Di Dio che sembra assente. E lì, in quella fossa di silenzio, si fa largo l’ansia. Quella che conosciamo bene anche noi. Perché ci sono momenti della vita in cui anche a noi sembra che sia tutto finito. In cui la fede vacilla, in cui Dio appare impotente, distante, muto. In cui non capiamo più il senso. E ci domandiamo: ma se non ha potuto salvare sé stesso, che cosa potrà mai fare con la mia vita?

L’ansia è un’ospite invadente. Non bussa. Entra. Si siede nel petto e lo stringe. Ti prende alla gola, ti annebbia la vista, ti mozza il respiro. È la paura travestita da realtà. È il pensiero che gira in loop e non ti lascia scampo. È la proiezione peggiore di ciò che potrebbe accadere. E spesso ha un volto spirituale. È l’ansia di aver frainteso Dio. Di aver creduto a un’illusione. Di aver letto male i segni. È l’ansia di chi si sente abbandonato, tradito, smarrito. È il cuore che si chiede: “E adesso?”.

Quando le cose non vanno bene, o come vorremmo, resta una consolazione, cioè, poter dire «vabbè, ci pensa Dio», girare lo sguardo, fermarsi a contemplare quel Crocifisso, quella Eucarestia chiusa nel tabernacolo, e consegnare a Lui ogni cosa. Oggi non c’è Crocifisso da guardare, non c’è tabernacolo a cui rivolgere lo sguardo. La sua assenza è spiazzante, non sappiamo a chi affidarci, è come se fossimo rimasti da soli.

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Ma sulla croce Gesù ci lascia un testamento importante. Il suo testamento non è una parola, il suo testamento è una persona. Nei tanti Sabato Santo che la vita ci mette avanti, ci consegna nelle mani di Maria, ci invita a prenderla in casa nostra. Ci dona le sue braccia e il suo esempio.

Nel Sabato Santo, Maria non fa rumore. Lei non scappa. Non alza la voce. Non urla. Ma crede. E proprio per questo, è il suo giorno. Il giorno in cui la fede non ha appigli, eppure non crolla. In cui il cuore sanguina, ma non smette di sperare. In cui la speranza non è un’illusione, ma un atto di fede. Maria ci insegna a stare nel tempo sospeso. A vivere l’attesa senza farci divorare dall’ansia. Perché la vera risposta cristiana all’ansia non è ignorarla. È starci dentro con lo sguardo rivolto all’oltre. È dire a noi stessi e a Dio: “Non è finita. Non può finire così. Non mi rassegno a questo finale”. È il giorno in cui l’ansia non va zittita, ma attraversata, abitata, guardata in faccia. Perché è lì che può accadere il miracolo più grande: che la fede non muore, ma resiste. Che la speranza non svanisce, ma si aggrappa a un filo. Che anche nel silenzio, Dio c’è.

Dio non risorge subito. C’è bisogno di una pausa. Di un tempo in cui imparare a stare. A reggere l’assenza. A vivere il vuoto non come disperazione, ma come gestazione. A fidarsi anche quando non si capisce. Il Sabato Santo è l’allenamento all’amore fedele che non scappa. È il giorno in cui Dio ci insegna a non avere tutto e subito. A vivere l’ansia non come nemica, ma come compagna di viaggio, perché, davvero, l’unica cosa che offende Dio non è il dubbio, ma la disperazione. Lui non è il Dio della fine.

Maria ci insegna a stare con occhi che vedono oltre, con la certezza che l’Amore non muore. E che anche quando non si vede, Dio lavora. Ogni tomba ha una pietra da rotolare via.




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