CORRISPONDENZA FAMILIARE

La Pasqua di Francesco

22 Aprile 2025

Foto derivata da: Alfredo Borba, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Li amò sino alla fine”, abbiamo letto questo Vangelo qualche giorno fa nella liturgia del Giovedì Santo. E fino alla fine Papa Francesco ha voluto esercitare il suo ministero. I medici gli avevano chiesto prudenza ma lui non poteva restare confinato nella sua camera ovattata, un Pastore non fugge e non si ritira, resta al suo posto, quello di stare in mezzo alla gente e prendersi cura del popolo che il Padre aveva affidato alle sue cure.

Aveva iniziato il pontificato recandosi a Lampedusa (8 luglio 2013), la porta dell’Europa, il primo approdo per migliaia di migranti che cercano di fuggire da una condizione di vita in cui non c’è futuro. La sua presenza ha costretto tutti – e specialmente il mondo cattolico – a guardare con occhi nuovi il dramma della povertà. Ha concluso il suo itinerario pastorale giovedì scorso andando nuovamente nel carcere romano di Regina Caeli. È stato il suo l’ultimo viaggio apostolico, ancora una volta è andato nelle periferie della storia, ha voluto manifestare e comunicare l’amore di Gesù a quelli che vivono ai margini della società. Avrebbe voluto lavare loro i piedi, come ha fatto durante tutti gli anni del suo pontificato: “Quest’anno non posso farlo, ma posso e voglio essere vicino a voi. Prego per voi e per le vostre famiglie”. Una presenza che diventa segno di speranza. 

Papa Francesco non ha voluto mancare neppure alla veglia pasquale, prima della celebrazione è sceso nella Basilica vaticana tra lo stupore dei fedeli raccolti per partecipare alla liturgia. Domenica di Pasqua è apparso alla Loggia della basilica, ha dato gli auguri e ha impartito la benedizione. Lo ha fatto con una voce flebile e con uno sguardo affaticato ma bastava per rallegrare il cuore delle migliaia di persone presenti nella grande piazza. 

Nel dare l’annuncio della morte, il cardinale Farrel ha voluto ricordare la testimonianza di Papa Francesco, poche parole ma dense di significato: “La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della sua Chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio e amore universali, in modo particolare a favore dei più poveri ed emarginati”. 

Non è facile ripercorrere il pontificato di Francesco, non solo per la sua durata – 12 anni non sono pochi – ma anche perché ricco di iniziative e di scelte che hanno suscitato un entusiastico consenso in alcuni e alimentato un forte dissenso in altri. Non è stato un pontificato di transizione, come molti speravano considerando che, quando fu eletto, Bergoglio aveva già compiuto 76 anni. Al contrario, è stato un pontificato che ha fatto discutere, ha dato una scossa alla Chiesa, ha chiesto di assumere una nuova postura dinanzi al mondo, ha usato parole nuove e ha domandato di trovare linguaggi nuovi per parlare alla gente. Ha avuto il coraggio di proporre mete significative e ambiziose. Ha chiesto infatti di abbandonare il comodo criterio di chi dice “si è fatto sempre così”, ha invitato tutti ad “essere audaci e creativi”, a “ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità” (Evangelii gaudium, 33). 

In queste ore tante sono le voci che offrono una lettura del pontificato, sottolineando l’uno o l’altro aspetto del magistero e della personale testimonianza di Francesco. Tante parole, tanti eventi e… un grande assente: Gesù Cristo! La comunicazione mediatica pone l’accento sugli effetti e dimentica le cause, o meglio la Causa, quella da cui sgorga la vita che dona il coraggio di stare a servizio di tutti. Lo aveva detto con grande chiarezza nel primo discorso, rivolto ai cardinali che lo avevano eletto: “Se non confessiamo Gesù Cristo qualcosa non va, diventiamo una ong pietosa, ma non la Chiesa sposa di Cristo” (14 marzo 2013). Lo ha detto all’inizio e lo ha ripetuto tante volte. Dimenticarlo è comodo e fuorviante. Non lasciamoci ingannare da una comunicazione che presenta Francesco come una star e non come l’umile discepolo di Cristo. “Senza di me non potete far nulla”, leggiamo nel Vangelo. Parole sante che oggi dobbiamo custodire con maggiore cura. 

Leggi anche: Le ultime parole di un padre: grazie Papa Francesco per averci guidato fin qui

Papa Francesco è stato per noi, un’immagine viva di Cristo, buon Pastore, Maestro e servo di tutti. Non ha avuto paura di entrare nei sepolcri della storia con la luce del Vangelo per ridare speranza agli oppressi. Come il suo Signore, tante volte si è chinato per baciare le piaghe di Gesù presente nella carne dei poveri e dei sofferenti. Non era solo uno slancio emozionale ma una precisa strategia pastorale che fin dall’inizio ha presentato come la luce che avrebbe ispirato il suo pontificato: 

“Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite”. 

Fedele al mandato ricevuto, tante volte ha alzato la voce per contrastare l’egoismo dei potenti che, per inseguire e custodire i loro interessi, calpestano la dignità della gente. Lo ha fatto anche domenica, nel suo ultimo Messaggio urbi et orbi, richiamando tutti alle proprie responsabilità. 

Non è il momento di fare una sintesi di un pontificato come questo che ha aperto tante strade e ha suscitato tante speranze. Vi sono quelli che hanno voluto a tutti i costi marcare la discontinuità con i predecessori. È una tecnica già usata in passato. In realtà ogni Papa porta la sua personale impronta e, con quella grazia che lo Spirito non fa mancare, contribuisce ad arricchire il cammino della Chiesa. Nessuno ripete quello che è stato già detto da altri, le differenze sono necessarie e vanno lette nel solco della continuità perché uno solo è il Signore, una è la Chiesa e unica è la storia che tutti siamo chiamati a scrivere. 

Papa Francesco ha scelto di essere sepolto nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a conferma di quel particolare legame che ha sempre coltivato con la Madre di Dio. Uscito dall’ospedale, il mese scorso, aveva chiesto di fare una sosta dinanzi alla Basilica mariana. Alla vigilia della settimana santa è ritornato, come un figlio devoto, per dare un ultimo saluto alla Salus populi romani. “Prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte”, ha ripetuto ancora una volta. 

Buona Pasqua”: mentre pronunciava queste parole ieri dalla Loggia della Basilica, le ultime del suo ministero pubblico, si preparava a vivere un’altra Pasqua, un altro passaggio, quello decisivo della sua lunga e operosa esistenza. In fondo quel semplice augurio racchiude la speranza della fede: vivere la Pasqua, fare della vita una Pasqua, cioè un frammento di quella risurrezione che ha cambiato una volta per sempre il volto della storia. 

Buona Pasqua, Santo Padre

Arrivederci in Paradiso.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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