IL RICORDO DEL PAPA
Papa Francesco chiedeva agli insegnanti di “amare di più gli studenti difficili”

Papa Francesco diceva agli insegnanti: “A voi chiedo di amare di più gli studenti ‘difficili’, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili, gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola. Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete? E ce ne sono alcuni che fanno perdere la pazienza, ma quelli dobbiamo amarli di più!”
Appena rilanciata la notizia della morte del santo padre Francesco, attorno alla cattedra, il pensiero di chi ci lavora con passione e responsabilità è andato a questa citazione. È tratta da un discorso tenuto agli inizi del pontificato. Era il 14 marzo del 2015 e Francesco si rivolgeva ai membri dell’unione cattolica insegnanti, dirigenti, educatori, formatori in visita nell’aula Paolo VI. Non tutti avevamo ancora capito dove mirasse il pontificato. Sembravano frasi di circostanza dette a docenti cattolici. In realtà, era adombrato in esse il senso profondo di quella che Egli considerava la sua missione: poste le 99 pecore al sicuro, il buon pastore deve andare alla ricerca di quella smarrita. Anche a scuola. Soprattutto a scuola. In ambiente scolastico, queste attenzioni vanno sotto il nome di integrazione. Il tutto però era trattato dal Santo Padre senza ideologia e con molto senso di realtà. Così si esprimeva nello stesso intervento: “Insegnare è un lavoro bellissimo. Peccato che gli insegnanti siano malpagati. Perché non c’è soltanto il tempo che spendono per fare scuola, poi devono prepararsi, poi devono pensare ad ognuno degli alunni: come aiutarli ad andare avanti. È vero? È ingiustizia.” E, continuando, faceva la seguente considerazione: “È un lavoro malpagato, ma bellissimo, perché consente di veder crescere giorno dopo giorno le persone che sono affidate alla nostra cura. È un po’ come essere genitori, almeno spiritualmente. È anche una grande responsabilità!” Ecco come riassumere in una frase il senso di questo blog: gli adulti intorno alla cattedra sono tutti genitori solo che alcuni lo sono solo in senso spirituale altri anche biologicamente. Tutti comunque lavorano per veder crescere giorno dopo giorno i giovani ad essi affidati. Chi è “il prossimo” di un adulto che vede il mondo dalla cattedra? Ancora il Papa “Ci possiamo domandare chi è il prossimo per un insegnante? Il “prossimo” sono i suoi studenti! È con loro che trascorre le sue giornate. Sono loro che da lui attendono una guida, un indirizzo, una risposta – e, prima ancora, delle buone domande!”. Ecco un altro snodo fondamentale: la scorta che gli adulti devono assicurare al giovane in questo mondo ricco di insidie per essi non è fatta di risposte. Nella maggioranza dei casi è fatta di buone domande che inducano a riflettere anche su di sé.
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In un incontro più recente, nel 2024, offrì ai partecipanti dell’Azione Cattolica un’ulteriore chiave di lettura della situazione che viviamo: “Ci sono tante cose urgenti oggi, ma una di queste è – per usare una vostra espressione – essere «educatori dal cuore grande… nei labirinti della complessità». E voi sapete come si esce da un labirinto? Mai soli, mai. E, secondo, dall’alto. Da un labirinto si esce dall’alto e mai soli. Pensate un po’ a questo.” Ecco una pregnante definizione della situazione sociale che gira intorno alla cattedra: labirinto di complessità. I docenti avveduti sanno che ogni ragazzo è un labirinto dal quale lui vuole uscire e nel quale l’insegnante vorrebbe entrare per trarlo fuori. E di labirinti in una classe si arriva ad averne anche trenta. Come affrontare questa complessità senza tremare e con qualche speranza? Mai da soli e dall’Alto. La “A” maiuscola è mia. Guardare i ragazzi con gli occhi dell’Alto, di Dio. Guardarli con amore. San Giovanni Bosco così si esprimeva: “Il primo atteggiamento di un educatore è l’amore”. La scuola di oggi, aggiungo, ha bisogno di educatori credibili e di testimoni di una umanità matura e completa. Ha bisogno di Testimonianza. E questa non si compra, non si vende, non è oggetto di contrattazione collettiva nazionale, non è roba per sindacalisti, non rientra nel novero dei diritti: si offre. È gratuità pura. La offre, ovviamente, chi ce l’ha, chi è mosso dalla sua passione per l’uomo, per ogni uomo, per ogni ragazzo.
Quanto scritto fin qui è grossolanamente parziale riguardo all’attenzione di Francesco verso i giovani. Quante cose ha detto loro che dovrebbero trovare stabile dimora intorno ad una cattedra. Nella Christus vivit, per esempio, al numero 159, ricorda al giovane: “Spero che tu possa stimare così tanto te stesso, prenderti così sul serio, da cercare la tua crescita spirituale.” Quell’esortazione apostolica andrebbe offerta come lettura formativa a tutti gli insegnanti e a tutti i genitori. Non riusciamo qui, ma ne caldeggiamo la lettura. Al numero 160 si legge: “D’altra parte, anche un adulto deve maturare senza perdere i valori della gioventù. Perché in realtà ogni fase della vita è una grazia permanente, contiene un valore che non deve passare. Una giovinezza vissuta bene rimane come esperienza interiore, e nella vita adulta viene assimilata, viene approfondita e continua a dare i suoi frutti. Se è tipico del giovane sentirsi attratto dall’infinito che si apre e che comincia, un rischio della vita adulta, con le sue sicurezze e comodità, consiste nel trascurare sempre più questo orizzonte e perdere quel valore proprio degli anni della gioventù. Invece dovrebbe accadere il contrario: maturare, crescere e organizzare la propria vita senza perdere quell’attrazione, quell’apertura ampia, quel fascino per una realtà che è sempre qualcosa di più. In ogni momento della vita potremo rinnovare e accrescere la nostra giovinezza.” Ecco un lascito di Francesco per quanti vedono il mondo dalla cattedra
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