PAPA FRANCESCO E I GIOVANI
Papa Francesco e quelle parole che ogni giovane vorrebbe sentire

Ho 27 anni e della mia generazione – e di quelle successive – ne ho sentite di tutte. Siamo pigri, sempre stanchi, sempre depressi, ce l’abbiamo con il mondo e nessuno sa come prenderci. Siamo distaccati dalla vita, senza voglia, senza passioni. Persi nei social, spaventati davanti al futuro. Raramente qualcuno ha speso parole di speranza nei nostri confronti. Gli adulti appaiono rassegnati e inermi di fronte a questa ondata di giovani spauriti. Non Papa Francesco.
In questi giorni scorrono come un fiume i ricordi degli incontri, di quelle GMG in cui – con una voce decisamente fuori dal coro – faceva echeggiare a distanza di secoli quel “mi fido di te” che Dio stesso dice all’uomo quando si fa uomo come lui e si mette nelle sue mani.
A Lisbona tutto sembrava possibile. E non perché all’improvviso fossero scomparsi i disagi, le paure… ma perché avevi davanti e accanto qualcuno che ti guardava negli occhi e ti ripeteva, come un mantra, che di te si fidava. Che con te si possono fare cose belle. Che la tua giovinezza, quella boicottata dal mondo adulto perché è troppo emotiva e instabile o non abbastanza preparata, ecco quella tua giovinezza è una risorsa, un’occasione unica per far parlare Dio nel mondo. Che senza di te, senza la tua personalissima risposta, diversa e originale, il mondo appare un po’ meno bello. Un po’ più buio. Perché c’è una storia che Dio vuole scrivere e lo vuole fare con te.

Perché i giovani sono lontani dalla fede? Di cosa hanno bisogno per avvicinarsi a Gesù? Quante volte queste domande sono risuonate tra le mura degli incontri di pastorale. Francesco sapeva bene che i giovani vogliono Verità. Con chiunque mi fermo a parlare in questi giorni di assenza del nostro caro Papa, non viene fuori tanto la sua persona, l’incontro personale con lui – come se fosse un idolo – quanto piuttosto la frase che ritorna è: “In quel momento io ho imparato a pregare”.
Francesco sapeva – e lo ha fatto fino in ultimo – di essere canale di grazia di Dio, che il suo ruolo era quello di direzionare lo sguardo, puntare a cosa conta. Anzi, a Chi conta. Suscitare domande che stanno dentro ciascuno ma che il mondo vuole zittire per tenerci mediocri, per farci accontentare. Mentre Cristo ci dona gioia, quella gioia missionaria, come ci ha ripetuto tante volte in Campo da Graça, nell’ultima GMG a Lisbona. Un messaggio che non erano solo parole, perché la sua gioia – quella del Papa – arrivava a tutti. Era contagiosa.
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“Voi che siete qui, che siete venuti per trovare voi stessi, per cercare il messaggio di Cristo, per cercare il senso bello della vita, avete intenzione di tenere questo per voi o di portarlo agli altri?”.
Eppure, non era solo il suo sorriso a darci pace. Era quella fiducia incrollabile, eco di quella di Dio, che riponeva in noi. Anche quando noi stessi non ci credevamo più, lui sì. Credeva nella nostra forza, nella nostra capacità di rialzarci. Lo ha detto tante volte:
“L’importante non è non cadere, ma non rimanere a terra”.
Ce l’ha ricordato anche a Lisbona, con quella leggerezza potente che solo i grandi padri sanno avere. Perché Francesco è stato così: un padre vero, uno che ti guarda cadere, ma non ti umilia. Che ti dice: “Va bene, hai sbagliato. Ma ora rialzati. Torna a camminare.”
E poi quella frase che ti si stampa nel cuore:
“L’unica occasione in cui è lecito guardare qualcuno dall’alto in basso è per aiutarlo a rialzarsi”.
Basta quella a fare silenzio in una piazza piena. Perché in un mondo dove siamo abituati a essere giudicati, etichettati, scartati per ogni fallimento, Papa Francesco ci ha insegnato l’arte della misericordia, che Dio non è quello che aspetta il voto più alto, ma quello che applaude quando torni a provarci.
“La gioia non è chiusa in biblioteca, anche se bisogna studiare, eh! Ma non è lì. Non è chiusa a chiave. Va cercata. Va condivisa. È una fatica, sì, ma è vera”.
E arriva sempre nel dialogo, nell’amicizia, nella vita vissuta. È qualcosa che ti allena, giorno dopo giorno, a essere più umano, più vero, più santo. Ma non la santità da statue nei corridoi bui delle chiese, la santità dei piedi impolverati, dei sogni testardi, della costanza nei piccoli passi.

Ecco perché Francesco non aveva paura di dirci la verità. Perché ci amava davvero. Sapeva che dentro ognuno di noi, anche nel più disorientato, c’è una vocazione, c’è un desiderio di bellezza che aspetta solo di essere acceso. Per lui noi non eravamo un problema pastorale da risolvere, ma una storia da far sbocciare. Una pagina bianca su cui Dio desiderava scrivere qualcosa di unico. E ci chiedeva solo questo: di non tirare i remi in barca. Di allenarci a vivere. A vivere sul serio.
Grazie, eternamente grazie, Papa Francesco.
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