Compagni di viaggio, segni dello Spirito
Giovanna Abbagnara
C’è una luce particolare che avvolge le nostre Chiese in questi giorni. Una luce che non viene solo dalle candele accese o dagli ori liturgici, ma da una Presenza viva che abita i cuori. Il vescovo Giuseppe Giudice ha detto con chiarezza: “Stiamo vivendo i giorni dello Spirito come Chiesa”. E non possiamo non riconoscerlo. L’elezione di Papa Leone XIV – che ci ha già toccato profondamente con il suo sguardo missionario e il suo affidamento a Maria – ci riempie il cuore di gioia. È un tempo di conferme nella fede, come il Signore ha chiesto a Pietro. E il successore di Pietro oggi ci parla con la dolcezza ferma di chi vuole rimettere in cammino la Chiesa, dal cuore del Vangelo.
In questo clima, carico di Grazia, si è celebrato il 9 maggio, nella Cattedrale di San Prisco – nel giorno solenne del patrono della diocesi – il rito dell’accolitato. Una celebrazione che ha portato al cuore della Chiesa sette uomini, chiamati a servire: tre incamminati verso il sacerdozio, quattro verso il diaconato permanente. Il Vescovo si è rivolto a loro con parole essenziali e vere: “Gli accoliti sono soprattutto i compagni di viaggio.” Un’immagine bellissima e necessaria: non ministri isolati, non figure tecniche dell’altare, ma fratelli in cammino accanto agli altri, nel servizio e nella prossimità. Non solo “addetti” al culto, ma uomini radicati nell’Eucaristia, capaci di partire da lì per servire il mondo.
“La loro azione non si esaurisce all’altare, ma parte dall’altare” – ha sottolineato il Vescovo. È lì che si forma lo stile del cristiano adulto: nel pane spezzato, nel silenzio che custodisce il Mistero, nel dono ricevuto e donato. E in quest’anno giubilare – dove tutto ci spinge ad aprire porte, cuori e orizzonti – l’essere accoliti assume un significato ancora più profondo. È il ministero dell’andare insieme, del riconoscere Cristo nei gesti piccoli, del preparare la tavola della fede perché altri possano nutrirsene.
Tra questi accoliti, il nostro cuore si ferma su un nome: Andrea. Un seminarista, un fratello nella fede. La sua presenza silenziosa e sorridente, la sua fedeltà discreta ma luminosa, ci ricordano che la vocazione nasce nel quotidiano, cresce nel nascondimento e si irrobustisce nella comunione. Andrea è uno di quei volti che ci aiutano a credere che la Chiesa ha futuro, perché è fatta di giovani che si lasciano modellare dall’Amore. A lui, oggi, va il nostro grazie e la nostra preghiera. Che possa prepararsi ad essere, con umiltà e forza, un buon pastore, radicato nella gioia del Vangelo.
La conclusione è stata un invito che sentiamo rivolto a ciascuno di noi: “Riprendiamoci l’orgoglio di essere cristiani”. Non un orgoglio di rivincita o di superiorità. Ma quello gioioso e umile di chi sa di appartenere a Cristo, di essere amato, chiamato, mandato. Di chi, come questi accoliti, dice ogni giorno: eccomi. E lo dice partendo dall’altare, ma soprattutto tornando nella vita di tutti. Perché è nei giorni dello Spirito che la Chiesa torna ad essere se stessa.


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Non capisco tanto cosa tu voglia indicare con vista a 90 gradi dell’uomo e a 360 della donna… come anche…
Grazie! Don Silvio, esprimi la bellezza della conuglialità, quale dono meraviglioso di Amore, ma indicando sentieri di amore coniugale, nel…
sarebbe interessante aggiungere una valutazione sul comportamento dell'attuale governo