Con Maria, nella notte, verso il Divino Amore

Di G.A.

Nella notte tra il 17 e il 18 maggio, mentre Roma si avvolgeva nel silenzio, un gruppo di 64 pellegrini ha acceso una luce di fede sul selciato antico dell’Appia Antica. Partiti a mezzanotte da Porta Capena, davanti all’ombra maestosa del Circo Massimo, hanno percorso a piedi i circa 15 km che conducono al Santuario del Divino Amore, nel cuore della campagna romana. Una fatica offerta, un cammino fatto di fatica, silenzio, canto e preghiera, in occasione del centenario della canonizzazione di Santa Teresa di Gesù Bambino, la piccola grande santa che ha insegnato la via dell’abbandono e della fiducia totale nell’Amore di Dio.

Il cammino notturno ha il sapore dell’ascesi. Il corpo, ancora legato ai ritmi del giorno, resiste al sonno e alla stanchezza con ogni passo. Il freddo della notte romana si fa sentire sulle spalle, e la domanda “Ma chi ce l’ha fatto fare?” sorge, come ha raccontato Anna, più di una volta nei cuori e sulle labbra dei pellegrini. Ma ogni pensiero di resa veniva subito vinto da un’altra presenza, più forte, più profonda: il desiderio di portare le preghiere affidate da tanti, di presentarle sull’altare, nell’incontro con Cristo risorto nell’Eucaristia delle cinque del mattino.

“Concludere con l’incontro con il Risorto nell’Eucaristia è la concretezza dell’Amore di Dio”, ha detto Agnese, “la speranza del cammino che si fa carne”. È proprio questo che ha sostenuto i passi di ciascuno: la consapevolezza di essere inviati, di camminare per portare con sé le vite, le sofferenze, le speranze degli altri.

L’esperienza ha unito, stretto i cuori, come una vera famiglia. Il primo momento è stato quello eucaristico con la celebrazione presso la Cappella dei Santi Luigi e Zelia Martin dove nell’omelia don Silvio ha ricordato un episodio decisivo della giovane Teresa, che all’età di quattordici anni, animata da un desiderio ardente di consacrarsi a Dio, si recò a Roma per chiedere personalmente a Papa Leone XIII il permesso di entrare anticipatamente al Carmelo. Un gesto audace, segno di una fede tenace e appassionata, che ha incarnato perfettamente lo spirito con cui anche i pellegrini si sono messi in cammino: con determinazione, desiderosi di rispondere a una chiamata profonda. “Come Teresa ha insistito davanti al Papa con il cuore colmo d’amore e di fiducia – ha detto don Silvio – anche noi oggi vogliamo avere la stessa fiducia e lo stesso cuore innamorato di Teresa”. 

Parole che hanno accompagnato ogni passo del pellegrinaggio, sostenendo gli sfiduciati e infondendo forza lungo la strada. Sul pullman verso Roma, tra risate e condivisione, e poi lungo il cammino nella notte, si è vissuto il senso profondo della Chiesa: una comunità in cammino, stanca ma piena di grazia, fragile ma determinata, umana e divina insieme.

Anna ricorda la bellezza dei legami: con il suo sposo, che ha accettato la sfida del cammino; con amici di sempre riscoperti più vicini; e con nuove persone incontrate nel cuore della notte, come Caterina. Agnese ha colto la forza simbolica del pellegrinaggio: “Camminare verso una meta è una metafora della nostra vita… la speranza della meta orienta il cuore e il corpo”.

Il pellegrinaggio si è concluso al Santuario del Divino Amore, “il nuovo Santuario di Roma” come lo definì San Giovanni Paolo II. Lì, ai piedi della Madonna in trono col Bambino e sovrastata dallo Spirito Santo, i pellegrini hanno deposto tutte le preghiere portate nel cuore. Preghiere per la salute, per le famiglie, per la fede, per i figli. Hanno trovato nel volto della Madre la certezza invocata da Papa Wojtyła: “Fa’, o Madre nostra, che nessuno passi mai da questo Santuario senza ricevere nel cuore la consolante certezza del Divino Amore”.

Un santuario nato da un miracolo nel 1740, rinato in piena guerra nel 1944, e oggi più che mai luogo di grazia e di affidamento per il popolo romano. Una meta che, come nel canto popolare, continua ad essere segno di speranza: “La Madonna del Divino Amore fa le grazie a tutte l’ore. Noi l’andiamo a visitar”.

Questo pellegrinaggio notturno è stato un’offerta silenziosa ma potente, una veglia in cammino, un atto d’amore piccolo ma grande agli occhi di Dio. I 64 pellegrini hanno affrontato la notte non per se stessi, ma per tanti altri. Perché il cammino della fede è questo: spesso faticoso, a volte incomprensibile, ma illuminato dalla certezza che all’arrivo c’è l’Amore, quello vero, quello che non delude mai, quello che ha acceso il cuore di una giovane carmelitana vissuta solo 24 anni ma la cui esistenza ha travalicato i confini francesi arrivando in ogni angolo della Terra. E allora sì, ne è valsa la pena. Perché la stanchezza rimane nel corpo, ma la grazia rimane nel cuore per sempre.




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