Torino, marzo 2025. Un corpo viene recuperato dalle acque del Po, all’altezza di piazza Vittorio. È il corpo di un ragazzo. Non ha documenti, nessuno lo reclama. Si apre un’indagine, discreta e silenziosa. Le impronte, il DNA, gli appelli alla cittadinanza. Passano i giorni, poi i mesi. Solo dopo tre lunghi mesi viene fuori il suo nome: Rayan, 15 anni, nato e cresciuto a Mondragone, nel casertano. Come si fa? Come è possibile che ci sono voluti tre mesi per riconoscerlo? Tre mesi in un freddo obitorio alla ricerca di un volto e di un nome. Fino all’epilogo: è lui.
Studente del liceo classico, un ragazzo brillante, riservato, con un talento per la scrittura e una particolare sensibilità. Viveva in un equilibrio fragile, come tanti adolescenti troppo profondi per una realtà superficiale. Rayan non era un “caso”. Era una storia. Una storia che si era incrinata tempo prima. I genitori si erano separati. Da allora, qualcosa si era rotto anche dentro di lui. Aveva iniziato a chiudersi, a sparire a tratti. Aveva tentato la fuga più di una volta. I servizi sociali del Comune avevano iniziato a seguirlo. Un’assistenza necessaria, ma forse troppo tardi. Forse troppo formale. Forse, troppo sola.
Poi un giorno è sparito. E il silenzio ha avuto la meglio. Da Mondragone a Torino: 800 chilometri di assenza. Come ci sia arrivato non è chiaro. Perché sia finito nel fiume, ancora meno. Non ci sono segni di violenza evidenti. Non si esclude il gesto estremo. Ma la verità, quella vera, Rayan se l’è portata via.
In queste storie ci piace trovare risposte, ma sono le domande che mancano. Perché non abbiamo saputo ascoltarlo? Perché non abbiamo dato peso ai suoi silenzi, alle sue fughe, alle sue assenze? In un mondo che misura tutto in performance e risultati, Rayan andava bene a scuola. Non faceva rumore. Forse è per questo che è scomparso così facilmente. La sua è una storia di invisibilità. E l’invisibilità, oggi, è la forma più crudele dell’abbandono.
Di cosa abbiamo paura? Paura che ci manchi il tempo per accorgerci? Paura di chiederci se basti la scuola, un servizio sociale, una diagnosi? Paura che nessuna rete basti se il vuoto è più grande di tutto? Rayan aveva quindici anni. Non aveva bisogno di miracoli, ma di mani. Mani che non giudicassero, mani che tenessero, mani che restassero, mani che lo salvassero forse …
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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