Mille luci per l’Africa. Mille luci per Vittorio.

Il 27 maggio, a Tenuta Porta di Ferro a Battipaglia, si è tenuta una cena di beneficenza per sostenere alcuni progetti di solidarietà in Africa. Un evento che ormai è tradizione e che ha un timbro speciale: dedicato a Vittorio Mercadante, un ragazzo che ha lasciato troppo presto questa terra. Una di quelle assenze che sembrano inghiottire ogni parola. Eppure, quella sera, era come se il suo amore avesse trovato il modo di restare. Come una brezza leggera che ti sfiora quando meno te l’aspetti. Non si vede, ma si sente. E ti ricorda che chi ci ha amati non se ne va davvero.
Passeggiando sotto le mille luci accese nel bellissimo giardino per accogliere i più di trecento partecipanti, ho incrociato lo sguardo di Gerardina, la mamma di Vittorio. Occhi inevitabilmente commossi. Mi sono avvicinata per l’affetto, la stima, la vicinanza che si è creata in questi anni. Non avevo parole da dire, ma volevo che sapesse di non essere sola.
Mi ha guardata e mi ha raccontato una cosa che mi si è incisa dentro. Quella sera c’era una ragazza che la cercava da quattro anni. Una ragazza che, allo stesso modo di Vittorio, era stata colpita da un aneurisma cerebrale. Cercava Gerardina per farle una domanda che pesa come un macigno: “Perché io sono ancora qui, e Vittorio no?”. A lei è stato dato un “sì”, una possibilità. Alla famiglia di Gerardina, invece, quel “sì” non è arrivato. Eppure, ci sono dei “sì” che si realizzano anche dentro le ferite. Proprio la storia di Vittorio, il suo passaggio sulla terra, ha permesso il fiorire di qualcosa di gigantesco. Una storia che in questi quattro anni ha mosso cuori, mani, risorse, comunità intere.
È stato Mimmo, il papà, insieme a Gerardina, a raccontare ciò che hanno potuto vedere e toccare con mano durante il loro viaggio in Burkina Faso. E lì il dolore è diventato costruzione, condivisione, futuro. È diventato una mensa. Sessanta e più bambini oggi possono mangiare, studiare, vivere con dignità. Una goccia di giustizia in un oceano che ne ha bisogno.
Ma quella mensa – come altri progetti che stanno nascendo – è il frutto di una storia più grande. Non solo di una serata. È il risultato di una rete di eventi, di amicizie, di imprenditori, benefattori, volontari che si sono lasciati contagiare. È una catena di bene che attraversa il tempo e i volti, e che ha reso possibile qualcosa di meraviglioso.
A raccontarlo è stato Francesco De Maria, presidente dell’associazione Progetto Famiglia Cooperazione, che porta avanti questi progetti con determinazione e passione. A lui l’onore – e l’onere – di aprire gli orizzonti della speranza, ricordando quanto è stato fatto in Burkina Faso grazie al sostegno concreto di tanti. Anzi, di tanti amici. Perché questo è stato, prima di ogni cosa, un incontro tra amici: per raccontarsi il bene fatto, per sognare insieme quello ancora possibile.
Una serata per discutere su come fare meglio, per alimentare non solo la speranza, ma la certezza che c’è ancora tanta bellezza in questo mondo. E che vale la pena cercarla, coltivarla, condividerla. Realizzata grazie anche a due cari amici della famiglia Mercadante, Carmela e Giuseppe Del Grosso, che si sono rimboccati le maniche per far sì che tutta l’organizzazione filasse liscia.
Vittorio, in fondo, è una luce che si è accesa. Una delle mille luci – ha detto Mimmo – che ora brilla in cielo per fare ancora più luce da lassù.
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Ma non è stato solo l’incontro con Gerardina a toccarmi.
Quella sera c’era anche Patrizia, un’amica dal sorriso sempre acceso. Quasi sempre. Perché martedì, sul suo volto, c’era un velo di tristezza. Quando ci siamo salutate, Patrizia mi ha raccontato di aver perso da poco sua madre. “Tutto avrei voluto fare tranne che venire”, mi ha detto. Ma probabilmente quella sera era anche per lei. Anche per sua madre, con cui condivideva il sogno di costruire un mondo più giusto.
Mille luci, davvero. Mille luci accese su una distanza che sembrava incolmabile e che invece si è accorciata, fino quasi a scomparire. Mille luci che facevano rumore: il rumore del bene, della speranza, della vita che rinasce.
E ci hanno ricordato che non si è mai troppo piccoli per fare la differenza. E che non esiste un dolore troppo grande da non poter essere trasformato in redenzione.
C’è un mistero nascosto nel dolore. Se il dolore è accompagnato, accolto, guidato, può davvero cambiare il mondo.
Prima di andar via, ho fermato Alessandro, uno dei fratelli di Vittorio. Portava una polo azzurra, come tutti i ragazzi coinvolti nell’organizzazione. C’era scritto:
“Come in una giornata di vento: ci sei, non ti vedo, ma ti sento.” Un’immagine fortissima. Un modo di dire che il dolore non si spegne, ma si trasforma. Che l’assenza può diventare presenza. Che l’amore non finisce.
Incredibile la catena di solidarietà che ha attraversato tutte le generazioni e che si è fatta abbraccio, sostegno, forza. Ma anche provocazione: a non accontentarsi, a non sprecare la vita, a cercarne un senso profondo.
Forse anche per questo, tanti ragazzi si sono avvicinati chiedendo cosa poter fare, come mettersi in gioco, come andare “oltre”. È il virus contagioso della bellezza. È la forza misteriosa e potente del bene.
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