“Non potevamo avere figli, poi … il miracolo della fede”. Un papà racconta

Storia di Giuseppe Gandolfo e della sua famiglia raccolta da Giovanna Abbagnara
La sera prima di partire per il Santuario di Siracusa dove avrebbe suonato, un esperto di ginecologia aveva detto a lui e sua moglie che non avrebbero mai potuto avere dei figli. Sono partiti con questo peso nel cuore. Da anni cercavano di concepire, senza successo. Ebbene proprio lì, a Siracusa, un sacerdote, in confessione, fece capire a entrambi che il figlio sarebbe arrivato. Fu così: anzi, ne arrivarono tre! Ho conosciuto Antonella e Peppe presso il Santuario dedicato alla Vergine a Birgi, retto dai Padri della Famiglia del Cuore Immacolato di Maria, nella diocesi di Mazara del Vallo in Sicilia. Questa è la loro storia.
“Da molti anni servo con dedizione nella Polizia di Stato. Eppure, forse a causa della natura del mio lavoro, forse perché attratti — come spesso accade — dalla seduzione facile del mondo, mi ero lentamente allontanato da Dio, smarrendo il mio cammino di fede. Nel frattempo, ho conosciuto Antonella. Dopo un lungo fidanzamento, ci siamo sposati. All’inizio, avevamo deciso di non avere figli. Ci sembrava giusto così: volevamo goderci la libertà, i viaggi, la complicità di coppia, senza notti insonni, senza pianti, senza pannolini. Ma, a un certo punto, quel desiderio che credevamo lontano ha bussato al cuore. Volevamo un figlio.
Eppure, il figlio tanto desiderato non arrivava. Così sono iniziati i controlli, le analisi, i consulti. E con essi, i problemi. Fu lì che iniziammo a comprendere — o forse solo a intuire — che non tutto era nelle nostre mani. Forse, in realtà, nulla lo era. Apparentemente avevo tutto ciò che si potesse desiderare: ero giovane, una bella macchina sportiva, la casa dei sogni, una moglie meravigliosa. Eppure, qualcosa dentro di me restava incompiuto. Un’ombra d’infelicità aleggiava nel cuore, inspiegabile.
Una notte, durante il servizio, incontro un collega che non avevo mai visto prima. Era di origine pakistana. Mi colpì subito la sua disponibilità, la gentilezza limpida, gratuita. Incuriosito, iniziai a parlargli dei miei hobby, e a mia volta gli chiesi dei suoi. La sua risposta fu spiazzante: «Il mio hobby preferito si chiama Gesù». Balbettai, preso alla sprovvista. Eppure, non riuscivo a distogliere l’attenzione. Pensai: “Sarà un evangelico… ora mi farà il sermone”. Invece, mi trovai davanti a una testimonianza di fede limpida e profonda. Ex musulmano, battezzato cattolico a vent’anni, aveva conosciuto Dio cercandolo in molte religioni. Aveva trovato la verità nel Vangelo, nella frase che lo aveva colpito più di ogni altra: «Ama i tuoi nemici».
Iniziammo un’amicizia profonda. Mi diede letture spirituali, divenne un punto di riferimento, un direttore spirituale. Mi aiutò a comprendere una verità fondamentale: il matrimonio, senza apertura alla vita e alla volontà di Dio, rischia di restare un contratto, non un sacramento. Nel frattempo erano passati sei anni. Nessuna gravidanza. Cinque interventi chirurgici alle ovaie di Antonella. Ginecologi illustri, scoraggiati, si arrendevano all’evidenza della natura.
Poi, una sera in servizio, incappo in un senzatetto ubriaco, in condizioni disperate. Nessuna struttura pubblica lo voleva accogliere. Mi suggeriscono un luogo insolito: la comunità delle “Serve di Gesù Povero”. Scettico, mi presento. Avevo in mente suore tristi, grigie, un po’ fuori dal mondo. Mi aprono, invece, giovani donne luminose, colte, sorridenti. Una era persino scrittrice, laureata in lingue. Le vedo accogliere quell’uomo puzzolente con una tenerezza disarmante. In quegli occhi intravedo la luce di Dio. Mi offro: «Se avete bisogno di qualcosa, fatemelo sapere». Essendo musicista, propongo di organizzare un concerto di beneficenza.
Pochi giorni dopo, Suor Maria Goretti mi chiama: avrebbero bisogno di me per suonare durante una Messa nel Santuario della Madonna delle Lacrime, a Siracusa. Quattro ore e mezza di viaggio. Ma ogni promessa è un debito. Partiamo, io, Antonella e i miei genitori. La sera prima della partenza, uno scienziato della ginecologia, in vacanza a Marsala, aveva visitato Antonella. Il responso era terribile: una tuba tranciata, l’altra ostruita all’85%. Diagnosticata anche la trombofilia, che avrebbe impedito qualunque nutrimento al feto. E se per caso la gravidanza fosse comunque iniziata, Antonella rischiava di morire dissanguata durante il parto.
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Con questo fardello nel cuore arriviamo a Siracusa. Al Santuario ci sono cinquemila persone. Una ventina di sacerdoti, ognuno con una lunga fila davanti al proprio confessionale. Mentre montavo la tastiera, avvertivo una bellezza palpabile: la musica, le chitarre, la coralità. Anche Antonella entrò a far parte del coro. Si avvicina un sacerdote anziano. Chiede se anche il coro vuole confessarsi. Per cortesia, ci mettiamo in fila. Quando arriva il mio turno, mi trovo davanti a due occhi profondi, trasparenti come rubini. Non riesco a parlare, eppure quell’uomo pronuncia parole che mi cambiano: «Questo fiore nascerà, e darà anche il frutto».
Mi alzo con una certezza nel cuore: Dio ci avrebbe donato un figlio. Mi inginocchio davanti alla statua della Madonna e, senza dubbi, comincio a ringraziarla per il figlio che ci aveva già concesso. Anche Antonella si confessa da quel sacerdote. Senza sapere chi fosse, lui le dice che porta nel cuore un dolore non espresso. Lei scoppia in lacrime e racconta la diagnosi ricevuta. Lui la benedice e aggiunge in dialetto: «Comu u chiamamu stu picciriddu?», e ancora: «Vai a ringraziare la Madonna e dille: “chi nun mi fa fare mala fiura”».
Torniamo a casa all’alba. Per due giorni non ci diciamo nulla di quanto ci aveva detto quel sacerdote. Lunedì mattina, senza avvisarla, porto Antonella in ospedale per un test del sangue. Era già incinta. Maria Celeste, oggi quattordicenne, era nel suo grembo. Il mio cuore ardeva di fede. Avrei voluto gridare per le strade: «Il Signore esiste! Dio ci ama!». Pregavo incessantemente, Messa quotidiana, rosari. Ma Dio, che ci vuole tutti salvi, rispetta la libertà di ciascuno, e il cammino non è mai privo di prove.
Il medico che fece nascere Maria Celeste era cinico, abortista, con uno sguardo beffardo verso la nostra storia. Dopo il parto, ci propose di togliere l’utero ad Antonella per evitare rischi futuri. Al nostro rifiuto, prescrisse la pillola anticoncezionale a vita. Ma non la prendemmo. Due anni dopo nacque Andrea, oggi dodicenne. Il parto fu drammatico. Dieci sacche di sangue per salvare Antonella. Due sacerdoti al suo capezzale. I medici ci accusavano di incoscienza. Ma la nostra fiducia in Dio superò la paura. E ne uscimmo, ancora una volta, grazie a Lui.
Quando Antonella aveva ormai 43 anni, ci dissero che non avrebbe potuto più avere figli. Eppure, Dio ci donò anche Sara. I medici di Marsala ci consigliarono l’aborto, ci cacciarono. Ma un medico, il professor Antonio Oriente, conobbe la nostra storia e si prese la responsabilità del parto. Oggi è il padrino di battesimo di nostra figlia.
Come famiglia, da allora, ci mettiamo al servizio della vita. Antonella aiuta donne in difficoltà al Movimento per la Vita di Marsala. Casa nostra è spesso un piccolo centro di accoglienza, tra vestitini e corredini per neonati. Io, con la musica, porto il messaggio ovunque. Il prossimo spettacolo che metterò in scena da fine luglio si intitola Da madre a Madre: musica, danza, pittura e parole sulla bellezza della maternità — terrena e celeste. Tutto questo è nato grazie a Suor Maria Goretti, fondatrice delle Serve di Gesù Povero. E grazie a Padre Pietro Santoro, il sacerdote dai rubini negli occhi, che ora prega per noi dal cielo”.
Storie come questa non sono semplici racconti di fede, ma veri e propri sentieri tracciati dalla Grazia, che ci ricordano ciò che spesso il mondo dimentica: la vita è un dono, e l’amore – quando è aperto al Mistero – si trasforma in miracolo. In un’epoca dove tutto sembra programmabile, misurabile, controllabile, questa testimonianza ci ricorda che esistono ancora spazi di luce in cui l’invisibile opera, dove Dio si lascia trovare da chi lo cerca con cuore sincero. Non si tratta solo di eventi straordinari, ma di ciò che accade quando l’uomo rinuncia all’illusione del controllo e si affida. Quando la fede diventa concreta, incarnata, quotidiana. Quando il dolore non è più un ostacolo ma una porta.
Il valore di queste storie non sta nel prodigio in sé, ma nella libertà con cui si è scelto di restare aperti alla vita, anche quando sembrava impossibile, anche quando era più comodo chiudersi, proteggersi, tirarsi indietro. Sono testimonianze che non impongono, ma propongono. Non gridano, ma sussurrano: «Guarda che si può vivere diversamente. Si può credere. Si può amare, fino alla fine». Ed è proprio in queste vite imperfette, fragili, ostinate nell’amore, che Dio scrive i suoi capolavori. Sono racconti che vanno custoditi e trasmessi, perché generano speranza in chi si sente solo, smarrito, scoraggiato. Perché ci insegnano che ogni famiglia può diventare un santuario, ogni figlio un sì all’eternità, ogni fede semplice una profezia. Perché in fondo, Dio continua a scrivere Vangelo, ma lo fa con la nostra vita.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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