I SIMBOLI DEL MATRIMONIO

Simboli e riti nel matrimonio. Perché è lo sposo che attende la sposa?

Oggi vorrei soffermarmi sulla ritualità del matrimonio. Perché è lo sposo che attende la sposa e non il contrario? Perché sono i genitori ad accompagnare i figli all’altare? Perché gli sposi, invece di dichiararsi il proprio amore, si fanno delle promesse per il futuro? Alcuni simboli della celebrazione delle nozze che richiamano a delle verità sull’amore sponsale.

Ogni ambito della nostra vita è segnato da riti. I riti, in maniera immediata e simbolica, rimandano all’essenza di una realtà. Cerchiamo di comprendere nel concreto cosa significa questo nel caso del matrimonio cristiano.

Lo sposo attende che la sposa arrivi: la premessa del matrimonio è la piena libertà

Nella nostra cultura, lo sposo precede e attende la sposa nel luogo fissato per le nozze. Perché non avviene il contrario? Nella Genesi, l’uomo è solo nel giardino dell’Eden. Sente che non è completo. Attende qualcuno che lo riempia. Avverte che tutte le cose che lo circondano non gli “corrispondono”, ovvero non saziano il suo cuore. È la donna che viene a donare gioia alla sua vita. Lo sposo, però, sa di dover meritare un dono così prezioso, la gemma che il Creatore ha pensato per rendere più ricca la sua vita.

Non può prenderla con la forza, anche se fisicamente è più forte.

Un uomo forte non usa la forza.

E così, in piedi, davanti al sagrato della Chiesa, la aspetta. Questa è la sua forza: si fa porto sicuro. Dice, col suo esserci, che la donna può contare su di lui. Si fa porto sicuro, ma è paziente nell’attesa; esponendosi, accetta anche l’umiliazione di un eventuale rifiuto.

La sua virilità sta in questo: in una presenza che dona sicurezza e stabilità, che si propone, ma non pretende.

Poi ecco che lei lo raggiunge. La donna, recandosi dall’uomo, decide di fidarsi. Lo sceglie per la vita e, liberamente, gli si affida.

Nella casa del Signore, perchè Dio protegge l’amore sponsale

Se è vero che un matrimonio può essere celebrato potenzialmente ovunque, due sposi cristiani si presentano generalmente in Chiesa, ovvero nella “casa del Signore”. Si tratta di un modo per stabilire chi ha il timone della relazione: è Cristo, che nel sacramento si dona alla coppia e si impegna a guidare la vita della coppia.

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Ciascuno entra accompagnato dal proprio genitore ed esce con il coniuge

La sposa, salvo eccezioni, arriva in Chiesa accompagnata dal padre. Lo sposo, invece, è accompagnato dalla mamma. I genitori manifestano la volontà di distacco, di lasciare che il figlio, la figlia, prendano la propria strada insieme. Riconoscono che i propri figli sono ormai adulti, non dipendono più dalle cure dei genitori come da bambini. E infatti, alla fine della celebrazione, gli sposi escono insieme, senza i genitori. Questa immagine rappresenta il taglio del cordone ombelicale, il passaggio dalla famiglia di origine a quella nuova, che si sta creando.

Si passa da un rapporto sbilanciato, quello di un genitore verso un figlio, ad un rapporto reciproco, alla pari. In questo cambio di paradigma, a livello simbolico, si vede il passaggio da una vita famigliare dove si è ricevuto, a una vita famigliare dove si è pronti a dare, a reggere i colpi, a diventare mani che sfamano e non più bocche sfamate. È, simbolicamente, l’inizio di una famiglia vissuta da adulti.

Lo scambio delle promesse e degli anelli: l’amore non è solo un sentimento

La parola sposarsi viene dal latino “spondeo”, promettere. Gli sposi non celebrano solo un sentimento, non manifestano solo le loro emozioni, prendono un impegno personale e pubblico verso l’altro. Un amore senza promessa, cioè senza impegno, non è autentico. Non si può amare una persona come si firmasse un contratto a tempo determinato. Semplicemente, un rapporto così non è amore. L’anello è simbolo di appartenenza e di fedeltà. Non è una catena, non è un giogo, è un simbolo delicato, che non fa male, non stringe, non ferisce. Ricorda, però, a ciascuno degli sposi e a chiunque lo vede al dito che l’amore poggia su una promessa non ritrattabile: solo se ci prendiamo sul serio possiamo amarci per tutta la vita.

Fuori dalla Chiesa, una schiera di amici a fare festa e sostenere la nuova famiglia

L’amore, in generale, non è un fatto privato e nemmeno quello di coppia. Se così fosse, i matrimoni non verrebbero proprio celebrati. Invece, in ogni tempo, in ogni cultura, il matrimonio ha assunto connotazioni pubbliche. Il fatto che fuori dalla chiesa ci siano tutti gli invitati ad accoglierli simbolicamente rimanda al fatto che l’amore dei coniugi riguarda anche la comunità, che vi partecipa ed è chiamata a sostenere la coppia. L’amore non è un fatto privato perché nessuno è un’isola e nemmeno la coppia lo è. Gli amici, durante e dopo la celebrazione, gioiscono con gli sposi, testimoniano e supportano le promesse dei coniugi. Sono lì per dire che gli sposi, davanti alla sfida di creare una nuova famiglia, non sono e non saranno mai soli.

E allora… Sposarsi non è inutile, non è superfluo. Oltre ad essere, per noi cristiani, il momento in cui la coppia riceve lo Spirito Santo, è anche la manifestazione visibile di quali esigenze l’amore umano richiede: la piena libertà di presentarsi e di affidarsi all’altro, l’esigenza di essere due adulti, l’importanza di promettere e impegnarsi, il ruolo della comunità.

Chiunque abbia partecipato ad un matrimonio vissuto nella verità potrà testimoniare che il giorno delle nozze, tantopiù se celebrato come “nuovo inizio”, è carico di significato e interpella anche i presenti.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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