Oggi, 27 giugno, è la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Una festa che, per molti, rischia di restare in un angolo del calendario, come una reliquia da tempi più ferventi, o come un’immagine troppo tenera per il nostro tempo inquieto. Eppure, a guardarla bene — senza devozione zuccherosa, ma con occhi aperti — questa festa ha qualcosa da dire, oggi più che mai.
Il cuore. Quel Cuore. Non solo simbolo: realtà viva, pulsante. Il cuore di Cristo, trafitto, aperto, esposto. Un cuore che non trattiene nulla per sé: né l’amore, né il dolore, né il sangue. Un cuore in cui “cammina solo l’amore”: l’amore per il Padre, per la Madre, per ciascuno di noi. Ed è qui che, forse, il confronto diventa scomodo. Perché se ci guardiamo dentro, nei nostri cuori oggi non passeggia affatto solo l’amore. Ci passeggiano l’ansia, la paura, il risentimento, il desiderio di controllo. Ci sono stanze stipate di cose: immagini, parole, offese archiviate, ambizioni mal digerite. È un magazzino, spesso, più che una casa. E quando arriva Dio a bussare, fatichiamo a fargli spazio. Gli presentiamo il caos dei nostri pensieri e delle nostre giornate imprigionate dalla paura o schiave dell’ansia.
Nel cuore di Cristo, invece, tutto è libero. Libero perché non tratteneva per sé. Libero, come scriveva Santa Teresa d’Avila, che invitava a “svuotare la casa dentro” per far spazio all’Ospite. Libero come certi versi di Emily Dickinson: “Il cuore vuole ciò che vuole – o si accontenta di nulla”. Ma per volere davvero, per amare davvero, il cuore deve essere sgombro. Come un campo appena arato: solo allora può germogliare qualcosa di vero. Lo sapevano i santi, lo sapevano i poeti. Lo sapeva anche Charles Péguy, che parlava di cuori spezzati dalla grazia, perché solo quando si rompe la diga dell’io, l’acqua viva può scorrere. Noi, invece, ci portiamo dentro un tumulto continuo. Confondiamo la profondità con l’intensità emotiva, il sentire con il pensare, l’amore con il possesso. Ma nel cuore di Gesù non c’era né rumore né calcolo: solo silenzio, ascolto, libertà.
È una lezione difficile. Non si tratta di essere “buoni”, ma di essere liberi. Liberi da sé stessi, dalla zavorra dei ricordi tossici, dai piccoli rancori domestici, dalla vanità. Liberi come era Lui. E questo — proprio questo — è il punto del Sacro Cuore: non un sentimento, ma una via. Un esercizio di svuotamento, come facevano i monaci, per lasciare che Dio trovi casa. Nel cuore di Cristo, diceva San Giovanni Eudes, “c’è un oceano di tenerezza”, ma anche un abisso di forza, quella forza che viene solo da chi non ha più nulla da difendere, perché ha già donato tutto. La libertà del cuore non è debolezza: è potenza. Allora, oggi, festa del Sacro Cuore, non celebriamo un’immagine dolce, ma una promessa esigente. Quella di diventare, anche noi, cuori liberi. E nel caos di questo tempo, forse è il gesto più radicale che possiamo compiere. Liberare il cuore, per tornare a respirare. E far spazio a Colui che ci ama immensamente.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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