“Non volevo accompagnare i miei alunni in gita scolastica, poi…”

1 Luglio 2025

Cosa si impara lontano dalla cattedra? È di questo che vorrei parlarvi, attraverso un’esperienza che non avrei mai pensato di fare. Ho sempre rifiutato di accompagnare dei ragazzi in gita. Troppe responsabilità pagate decisamente meno per l’impegno che richiede. Poi, però, quest’anno mi sono convinto. Ed ho scoperto che mi sbagliavo… 

“Non accompagnerò mai gli alunni in un viaggio di istruzione!”. Chi mi conosce sa che questo per me nei primi ventitré anni di insegnamento è stato più che un proposito, è stato un dogma. Troppo brutte erano state le mie esperienze da studente con compagni di viaggio che ne hanno combinate di ogni tipo e ci hanno creato grattacapi. Vivere una simile esperienza da adulto – che si accolla le responsabilità delle conseguenze di azioni che in buona parte sono incontrollabili – non è mai stato nemmeno nell’orizzonte scolastico che mi compete. Non ho mai accompagnato scolaresche in un viaggio d’istruzione. Ai ragazzi motivavo la mia scelta proprio togliendo quell’apostrofo. Per me dovevano essere viaggi d’istruzione, per alcuni di loro invece si tratta di distruzione delle regole. Quest’anno abbiamo rischiato di non partire perché non si trovavano i docenti accompagnatori. Ci sono diverse motivazioni per cui molti docenti oggi rifiutano di accompagnare gli studenti nei viaggi di istruzione. Alcune sono legate a responsabilità e rischi, altre a condizioni lavorative o a esperienze negative pregresse. I docenti sono responsabili della sicurezza e del comportamento degli studenti 24 ore su 24 durante il viaggio. Temono denunce o procedimenti disciplinari in caso di incidenti, anche quando non dipendono da loro. I viaggi si svolgono fuori dall’orario di lavoro, senza straordinari o compensi adeguati. Si tratta di un impegno fisicamente e mentalmente stancante. Alcuni genitori delegano completamente ai docenti il controllo sui figli. Si può incorrere in reazioni aggressive o poco comprensive in caso di problemi durante il viaggio. Si possono incontrare difficoltà nel gestire discipline e regole fuori dal contesto scolastico. Alcuni studenti non rispettano limiti o si comportano in modo irresponsabile (uso di alcol, mancanza di rispetto, ecc.). Ci sono poi docenti che hanno avuto incidenti, denunce, problemi gestionali nei viaggi precedenti e che, quindi, spesso decidono di non ripetere l’esperienza anche a fronte di uno scarso riconoscimento del valore del lavoro svolto. Senza contare che alcuni insegnanti hanno familiari a carico, figli piccoli, o altri impegni che rendono difficile l’assenza prolungata. In sintesi, molti docenti percepiscono i viaggi d’istruzione come un rischio elevato a fronte di un riconoscimento minimo. Per questo motivo, senza tutele, incentivi concreti o una forte motivazione personale, scelgono sempre più spesso di non partecipare. 

Ci siamo sentiti messi alle strette, quindi, io come altri colleghi, davanti al bivio: se non si trovano accompagnatori, il viaggio salta. Qualcuno ha anche detto che non si può farcene un problema. Se non ci sono le condizioni, non si parte e ciascuno se ne farà una ragione. 

Il discorso non mi convinceva e non convince ancora di più a posteriori. Fatto sta che, vinte le difficoltà iniziali, in quattro di noi siamo partiti con i nostri alunni. Alla fine, hanno vinto le ragioni del “si”. 

I viaggi di istruzione offrono numerosi vantaggi didattici, perché rappresentano un’opportunità per apprendere fuori dall’ambiente scolastico tradizionale, stimolando curiosità, motivazione e senso critico. Durante i viaggi, gli studenti imparano attraverso l’esperienza diretta, toccando con mano ciò che a scuola viene spiegato in modo teorico (arte, storia, scienze, geografia, ecc.). Questo favorisce la memorizzazione a lungo termine grazie al coinvolgimento emotivo e sensoriale e alla possibilità di collegare contenuti appresi in classe in modo pratico e coerente.

I ragazzi sviluppano capacità di collaborazione, autonomia, gestione del tempo, problem solving, rispetto delle regole, comunicazione efficace.

Imparano a organizzarsi, adattarsi a contesti nuovi e gestire responsabilità. I viaggi generano entusiasmo e coinvolgimento, spesso anche in studenti meno partecipi in aula e rafforzano il legame affettivo con i contenuti scolastici. Favoriscono la socializzazione tra pari e con i docenti in un contesto meno formale. Possono migliorare il clima della classe e ridurre conflitti o isolamento. Tutto questo ho potuto constatare. 

È vero: ci sono le difficoltà delle prime volte. La quasi totalità degli studenti in viaggio era alla sua prima uscita senza genitori. Lo abbiamo visto nelle valigie “esplose” nelle camere con indumenti sparpagliati per ogni dove. Già questo ha dato senso al viaggio. Nella scuola si fa un gran parlare di compiti di realtà: beh, eccone uno di non facile conto. Come gestirsi senza la presenza normativa dei genitori? Sì, è vero che ci sono i docenti, ma siamo comunque in presenza di un controllo minore. I più pronti se la sono cavata. Gli altri hanno visto e imparato, hanno chiesto aiuto al compagno di turno, all’occorrenza. La rete tra pari ha fatto il resto. Tra le pareti scolastiche questa dinamica è meno evidente. Ma tante altre cose sono meno evidenti in aula. 

Ne riporto solo due: quelle che maggiormente mi hanno colpito. Intanto la considerazione che a scuola vediamo solo una parte di ognuno e non sempre la migliore. Mi spiego con un fatto accaduto. L’ultima sera, quella prima del ritorno, abbiamo organizzato in albergo una serata di musica disco. Sembrava a noi docenti di offrire una cosa gradita. Quando però ci siamo ritrovati davanti a ragazzi trasformati da una cura insospettata nell’abbigliamento, nel trucco, nei profumi, nelle gelatine nei capelli e in ogni genere di piccolo accorgimento ci si è aperto un mondo nuovo. Ecco la prima considerazione: a scuola vediamo solo una piccola parte del mondo di ogni singolo ragazzo. La ragazzina impacciata all’interrogazione di storia poi mostra capacità di danza che la rendono una star in un ambiente diverso. Quanti docenti immaginano questa possibilità guardando la ragazzina in classe? Cosa è stato poi vedere i rapporti di valore stravolti dall’ambiente nuovo! Quelli che in classe sonnecchiano, qui diventano leader e trascinano i compagni. Cosa ha significato per me, poi, vedere la gioia su alcune facce è un’esperienza tutta da raccontare. Succede che per anni hai visto una ragazzina in classe seduta, silenziosa, triste, tanto da pensare che abbia qualche problema. Poi la vedi raggiante, un’altra persona. Ho passato il viaggio di ritorno a chiedermi perché quella diversa versione non è mai entrata a scuola. Cosa ha indotto quella ed altre o altri come lei a permettere l’ingresso a scuola della sola versione opaca? Ecco un mio personalissimo compito per l’estate. A scuola non vediamo tutto intero il ragazzo e questo limita di parecchio il significato del voto. Sempre più mi convinco che quel numerino dica pochissimo dell’alunno e che noi adulti dovremmo imparare a guardarlo con maggiore distacco. Nei giorni successivi, in classe, la ragazzina ha riproposto l’assetto triste da aula. Mi è dispiaciuto molto e gliel’ho detto. Ma era più forte di lei: a scuola certe cose non devono entrare. Che peccato per la scuola! La seconda considerazione che mi porto riguarda l’apprendimento in loco ed il suo significato profondo. L’ultima tappa del viaggio ci ha portati a visitare le grotte di Frasassi. I libri scolastici sono ricchi di foto e di spiegazioni chimico-geologiche sull’importanza di luoghi come quello. Tuttavia, non riesco a raccontare i volti dei nostri ragazzi quando abbiamo attraversato il lungo cunicolo scavato nella roccia della montagna che ci ha condotto all’ingresso delle grotte vere e proprie. Quando poi davanti agli occhi di tutti, improvvisamente, si è aperta la vista dell’Abisso Ancona, il primo degli ambienti delle grotte, lo sgomento e la meraviglia di tutti si tagliava a fettine per la densità dell’emozione. Un regno incantato che tutte le foto del mondo ed i libri non potranno mai raccontare si è presentato ai nostri sensi. Una totale immersione in una dimensione diversa. Odori, luci, visioni che probabilmente non si cancelleranno più dalla mente dei ragazzi e li segneranno positivamente a vita. Avevo pensato a qualcosa di simile davanti al campanile del “Passero solitario” o all’“Ermo colle” di Leopardiana memoria. Il viaggio stava mettendo carne sullo scheletro delle lezioni di aula. Queste cose a scuola, intorno ad una cattedra, si possono solo raccontare, ma non si vivono. Per questo è necessario che la scuola esca dalla scuola. Oggi si stanno diffondendo le aule immersive che cercano, attraverso dispositivi digitali, di riprodurre queste sensazioni. Nulla, tuttavia, potrà sostituire l’impatto con la realtà. Alla fine del viaggio, inaspettatamente soddisfatto, riconsidero la limitatezza dell’esperienza scolastica. Dovendo riassumere in una frase il contenuto di queste mie righe, direi: il ragazzo non si esaurisce in ciò che vediamo in aula, è molto di più, è immensamente di più. Lo sapevamo già? Non lo so. Guardandomi in giro direi che forse no e che questa considerazione vada ripresa con maggiore convinzione. Questo è il mio compito per l’anno che verrà.




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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