La Stanza dell’Ascolto chiude per l’estate, ma riaprirà. E la sentenza del Tar svela qualcosa in più

Non è la fine. È solo una pausa estiva. Ma dietro la temporanea chiusura della Stanza dell’Ascolto presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, si apre un dibattito che va ben oltre il perimetro di una convenzione tra un’associazione e una struttura sanitaria.
La Stanza dell’Ascolto – operativa dal settembre 2024 grazie a un accordo tra la Città della Salute e l’associazione Centro di Aiuto alla Vita – rappresenta un punto di incontro tra sanità pubblica e volontariato pro-vita. Il suo obiettivo è noto ed è davvero essenziale a mio avviso: offrire alle donne in gravidanza, su richiesta, uno spazio riservato dove poter valutare alternative all’interruzione volontaria. Nulla di nascosto, nulla di forzato.
Eppure, l’iniziativa è stata duramente contestata da alcune sigle sindacali e associative, tra cui la Cgil Torino e l’associazione “Se non ora quando?”, che ne hanno chiesto la sospensione per presunta illegittimità. La sentenza del Tar del Piemonte, arrivata a giugno, non smantella la Stanza dell’Ascolto. Al contrario – come evidenzia bene Danilo Poggio su Avvenire, ne riconosce la piena legittimità in riferimento alla legge 194, che all’articolo 2 prevede azioni mirate a “far superare le cause che potrebbero indurre all’interruzione della gravidanza”.
L’unica vera criticità rilevata dal Tar è la mancata verifica documentata delle competenze professionali dei volontari coinvolti. Nessuna violazione del diritto delle donne, nessun abuso, nessuna manipolazione. Solo un rilievo tecnico, che verrà colmato con una nuova stesura della convenzione. Eppure, nel dibattito pubblico, il tono è rimasto acceso, e la lettura della sentenza da parte di alcuni attivisti è sembrata funzionale a uno schema ideologico piuttosto che a un’analisi oggettiva.
Secondo Claudio Larocca, presidente del Centro di Aiuto alla Vita di Rivoli, «il Tar ha di fatto ribadito che offrire ascolto e sostegno alla maternità è perfettamente lecito anche all’interno di un ospedale pubblico». E aggiunge: «Ci dispiace per la sospensione, ma siamo pronti a riprendere con maggiore chiarezza e con una valorizzazione ancora più esplicita della professionalità dei nostri volontari».
Qui si apre anche un interrogativo più ampio. Come giornalista e come presidente di una rete di sostegno alle famiglie, mi sento di dire che la richiesta di maggiore professionalità nel volontariato è un criterio condivisibile. È giusto che chi offre ascolto, soprattutto in contesti sensibili come quello della maternità, sia formato, competente e responsabile. E difatti è così come evidenzia Larocca: «Noi saremo ben contenti di poter dare evidenza, anche con il lavoro che ci attende, della grande esperienza dei nostri volontari, rappresentati da figure professionali, con ampia formazione, peraltro anche grazie a misure formative organizzate con l’Ospedale stesso».
Ma lancio una provocazione: se questo principio si applicasse con la stessa severità a tutto il volontariato, anche nei reparti ospedalieri (penso all’Avo), nelle carceri o nei centri d’accoglienza, quante realtà sarebbero costrette a fermarsi? Quanti servizi silenziosi, preziosi, spesso affidati alla gratuità e alla generosità di tanti, sarebbero giudicati “non conformi”?
A me pare che, in questo caso, ci sia un accanimento selettivo, un rigore che viene riservato solo quando il volontariato si mette dalla parte della vita nascente. È come se dare alternative all’aborto – pur nel pieno rispetto della legge – disturbasse un certo pensiero che accetta la libertà di scelta solo quando si va in una direzione. Facciamo bene, quindi, a non tacere.
Facciamo bene a difendere con serenità la verità delle cose, a svelare le forzature e le letture ideologiche, e a dare voce a chi, ogni giorno, con discrezione e dedizione, accoglie la fragilità e aiuta le donne a riscoprire forza e dignità. La sentenza del Tar non chiude la Stanza dell’Ascolto. Semmai apre uno spiraglio per andare avanti con più rigore e maggiore trasparenza. Ma anche con la determinazione di chi non accetta che venga screditato un servizio che – senza retorica – salva vite e restituisce speranza.
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