Si era sposato a giugno con la donna che amava da sempre, la madre dei suoi tre figli. Aveva 28 anni, una carriera luminosa, una maglia pesante e gloriosa sulle spalle: quella del Liverpool. Si chiamava Diogo Jota, attaccante portoghese dal talento gentile. Aveva appena vinto tutto — campionato inglese con il club, coppa europea con la nazionale. Sui social appena dieci giorni prima aveva scritto di essere felice. Tutto sembrava promettere ancora vita, futuro, speranza.
Poi, all’improvviso, l’assurdo: un viaggio in auto nella provincia di Zamora, in Spagna, perché un recente intervento chirurgico gli impediva di volare. Con lui, in macchina, c’era anche suo fratello minore, 26 anni. Una gomma che scoppia, un sorpasso, le fiamme. E del ragazzo fortunato non resta più nulla. Solo una maglietta rossa, numero 20, che i tifosi hanno chiesto di ritirare per sempre. Solo lacrime e silenzio, su un nome che solo ieri sembrava destinato alla leggenda. È la morte che ci svela la verità su ciò che siamo. Non padroni del tempo, non dominatori dell’esistenza ma pellegrini. Ospiti in transito. E allora ci viene spontaneo chiederci: a cosa serve avere tutto, se tutto può finire in un secondo?
Ci troviamo sempre più disarmati di fronte alla morte, soprattutto quando riguarda i giovani. Ne parliamo poco, malvolentieri, come se nominarla potesse evocarla. Preferiamo diluirla nella lentezza della malattia, anestetizzarla con la tecnica, dimenticarla finché non bussa alle porte di casa. Eppure, è proprio nel volto della morte che si gioca il senso profondo della vita. Senza l’eternità, tutto è vano.
I santi lo sapevano bene. Santa Teresa di Lisieux scriveva: «Non muoio, entro nella vita». San Giovanni Paolo II avvertiva che «l’uomo non può comprendere se stesso senza Cristo, e non può comprendere la morte se non nella luce della risurrezione». Eppure nei nostri tempi si parla troppo poco di vita eterna, anche dai pulpiti. Ma se togliamo Dio dalla narrazione, cosa resta? Solo cronaca nera e sconforto.
Dobbiamo avere il coraggio di tornare a parlare di anima, di salvezza, di Paradiso. Non è poesia, non è illusione. È l’unica vera promessa che ci permette di vivere pienamente, sapendo che nulla di buono andrà perduto. Che nessun amore è inutile. Che ogni lacrima sarà asciugata. E allora Diogo Jota, il calciatore, il marito, il padre, il figlio, il fratello, ci ricorda, nel modo più duro, che la vita non va misurata in anni o successi, ma in amore. Solo l’amore resta. E solo se torneremo a crederlo, potremo dire qualcosa di vero ai nostri giovani. Qualcosa che non brucia, che non muore, che non cade nel vuoto ma ha il respiro dell’eternità.
Il Caffè sospeso...
aneddoti, riflessioni e storie di amore gratuito …quasi sempre nascoste.
Il caffè sospeso è un’antica usanza a Napoli. C’è chi dice che risale alla Seconda Guerra Mondiale per aiutare chi non poteva permettersi nemmeno un caffè al bar e c’è chi dice che nasce dalle dispute al bar tra chi dovesse pagare. Al di là delle origini, il caffè sospeso resta un gesto di gratuità. Nella nuova rubrica che apre l’anno 2024, vorrei raccontare storie o suggerire riflessioni sull’amore gratuito e disinteressato. Quello nascosto, feriale, quotidiano che nessuno racconta, che non conquisterà mai le prime pagine dei giornali ma è quell’amore che sorregge il mondo, che è capace di rivoluzionare la società dal di dentro. Buon caffè sospeso a tutti!
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).
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