ADOZIONE

Evitare etichette: una mamma che adotta è una mamma e basta

Sul sito “Storie di adozione”, c’è un prezioso contributo in cui si parla dei termini che definiscono le mamme con l’esperienza dell’adozione. “A volte mi soffermo a pensare a quanto questa terminologia sia corretta in principio, ma sbagliata in intenzioni. – spiega Laura Dellaluna, raccontando la sua esperienza – Infatti, spesso quello che il termine descrive è restrittivo, burocratico, e a volte perfino offensivo”.

“Se è vero che il linguaggio modella il pensiero, diventa importante fare attenzione ai termini che utilizziamo nel parlare, soprattutto la terminologia che utilizziamo con i nostri figli, perché questa condizionerà la maniera in cui pensano e, a lungo andare, come si rapportano verso sé stessi, gli altri, la loro identità ed il loro passato”.

Questa è la premessa dell’articolo “Le mamme dell’adozione”, scritto da una madre che ha fatto esperienza dell’adozione. La chiamano “mamma adottiva”, dice; legalmente e giuridicamente lo è, ma perché sottolinearlo quando non è necessario? Una mamma è una mamma. E lei non si sente diversa da altre madri. “Essere adottiva è solo uno stato di fatto, non una mia intrinseca caratteristica che mi contraddistingue per merito o demerito da altre mamme”

Quando viene chiamata mamma adottiva, però, si sente “diversa dalle altre mamme”, in un certo senso “come se ci fosse un muro invisibile che ci separa, ed indirettamente che separa mio figlio dagli altri figli”. 

Al tempo stesso, la infastidisce che la donna che ha generato il figlio venga chiamata “mamma di pancia”. A suo avviso, “la terminologia fa pensare che la mamma di pancia sia solo un contenitore”, inoltre “è un termine che non considera affatto il profondo legame pre-natale che si instaura tra mamma e figlio, come ad indicare che questo rapporto viene immediatamente cancellato con la nascita per fare spazio alla prossima mamma”. 

Leggi anche: “Dammi la mano Didi”: un toccante romanzo sull’esperienza dell’adozione

Il legame con la madre naturale resterà sempre. L’utero è molto più che il luogo fisico dove la vita ha inizio. Spiega ancora Dellaluna: “Attraverso i recenti studi sappiamo però bene che questo rapporto è molto importante e forte, e non si interrompe dopo la nascita. Anzi, questo strappo, questa separazione, provoca una ferita profonda nei nostri bambini che, come genitori, dobbiamo saper riconoscere e aiutare a rimarginare”.

Non accetta, infine, la riduzione a “mamma di cuore”.

Spiega a tal proposito: “Certo, le emozioni sono fondamentali in ogni rapporto, ma io sono molto di più. Mio figlio parla come me, nei suoi gesti vedo i miei gesti, nei suoi gusti riconosco i miei. Non è solo la mera biologia che crea rapporti di appartenenza, ma non credo lo sia il solo rapporto di cuore. Io e mio figlio abbiamo un DNA diverso, ma ci sentiamo simili, perché stiamo crescendo insieme e stiamo condividendo una vita insieme”.

E voi, se avete un’esperienza di adozione, come amate definirvi? 

Come parlate del rapporto con i vostri figli? 

Cosa pensate delle definizioni comunemente utilizzate?




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO