Giubileo
Dal cuore di Angri all’altare di Pietro: il pellegrinaggio della Fraternità di Emmaus per il Giubileo
Dalla Cittadella “don Enrico Smaldone” di Angri (SA), là dove la chiesa dedicata ai santi Luigi e Zelia custodisce la vita quotidiana della Fraternità di Emmaus, è partito un popolo in cammino. Circa 250 persone – neonati portati tra le braccia, bambini e ragazzi, giovani fidanzati, sposi, consacrati e seminaristi – tutti guidati da don Silvio Longobardi verso Roma, per celebrare il Giubileo della Fraternità.
Il viaggio stesso è stato un pellegrinaggio: non un semplice spostamento, ma un tempo abitato dalla preghiera. Sul pullman, la comunità ha elevato le Lodi mattutine, ha meditato nella recita del Rosario i misteri della gioia attraverso la bocca dei bambini e ha ascoltato una catechesi sul senso profondo del Giubileo: tempo di grazia, di misericordia, di ritorno a Dio. La strada verso la Città Eterna si è fatta così icona della vita cristiana, fatta di soste, di canti e di silenzi.
La prima tappa è stata la chiesa di San Gregorio VII, dove i Frati Minori hanno accolto i pellegrini con fraternità semplice e calorosa. Qui la comunità ha potuto celebrare l’Eucaristia con calma e raccoglimento, intonando canti di lode che hanno dilatato il cuore e reso ancora più vivo il senso di unità. Dopo un pranzo condiviso, quasi fosse un banchetto di famiglia, il cammino si è rimesso in moto, questa volta a piedi, in direzione della Basilica di San Pietro.


Entrare in Piazza San Pietro ha significato mescolarsi a un fiume di persone: migliaia di volti diversi, ma tutti con lo sguardo fisso sulla Croce che guidava la processione. L’attesa per varcare la Porta Santa è stata un dono: un tempo lento, scandito dalla preghiera. Ciascuno ha potuto sostare dentro di sé, rileggere la propria vita, purificare i pensieri, portare nel cuore chi non era fisicamente presente e chi ha già varcato la soglia della vita eterna.

Quel popolo, radunato sotto il vessillo della Croce, sembrava vivere le parole di santa Giovanna d’Arco: «Tenete alta la Croce mentre le fiamme mi bruceranno». Sì, anche noi, pellegrini nel tempo, ci scoprivamo lavati dal sangue dei martiri e dei santi che hanno donato la vita per Cristo. Attraversare la Porta Santa diventa così entrare nel grembo della Chiesa, per uscirne rinnovati nello Spirito, confermati nella fede.

Il momento più commovente è stato arrivare davanti al santo Ciborio. Lì, con la recita del Credo, la nostra voce si è fatta una sola voce. Non eravamo più individui isolati, ma parte di un popolo che rinnova insieme la propria fede. In quel momento, ho sentito che la misericordia di Dio è davvero più grande di ogni limite umano: ci accoglie, ci trasforma, ci rigenera.
Molti pellegrini, al termine della giornata, sono tornati a casa. Ma un piccolo gruppo ha scelto di fermarsi a Roma per partecipare, l’indomani, al Giubileo dei catechisti, celebrato da Papa Leone XIV. Durante l’omelia, il Papa ci ha consegnato parole forti e luminose: ci ha ricordato come lo sguardo di Gesù penetri i cuori, distinguendo il povero dall’indifferente, l’indigente dall’uomo che, pur nell’abbondanza, è vuoto d’amore. Con forza ci ha messo davanti all’attualità del Vangelo di Lazzaro e del ricco: le piaghe di interi popoli segnati dalla guerra e dallo sfruttamento gridano ancora oggi. Eppure, nel cuore di quel dolore, brilla la speranza: Cristo è risorto, ed è Lui la vera ricchezza che non passa.

Il Papa ci ha poi ricordato la missione dei catechisti: non semplici maestri, ma testimoni, persone che insegnano con la vita, con i gesti, con la parola che diventa carne. Ha parlato della famiglia come primo luogo dell’annuncio, e ci ha fatto intuire che ciascuno di noi porta la responsabilità di trasmettere la fede come si trasmette una lingua madre: nella quotidianità, intorno a una tavola, con la testimonianza semplice e viva.
Al termine della celebrazione, mentre la papamobile attraversava la folla, due neonati della nostra Fraternità – Davide Maria e Antonio, entrambi di pochi mesi – sono stati benedetti direttamente tra le braccia del Pontefice. Quel gesto è stato come un’icona del nostro carisma: il servizio alla vita nascente e alla famiglia, che portiamo avanti in Italia come in Burkina Faso. Un segno piccolo e insieme immenso: il futuro affidato a Dio attraverso le mani della Chiesa.

Così il nostro pellegrinaggio si è concluso, ma non davvero. Perché chi ha attraversato la Porta Santa, chi ha pregato davanti all’altare di Pietro, chi ha ricevuto la benedizione della Chiesa non torna più lo stesso: porta dentro di sé una grazia che diventa missione. Da Angri a Roma, da Roma al mondo: dal quotidiano al cuore della Chiesa universale, il popolo di Emmaus ha sperimentato che ogni passo fatto con Maria e con la Croce conduce sempre a Cristo, Porta che non si chiude mai.
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Non capisco tanto cosa tu voglia indicare con vista a 90 gradi dell’uomo e a 360 della donna… come anche…
Grazie! Don Silvio, esprimi la bellezza della conuglialità, quale dono meraviglioso di Amore, ma indicando sentieri di amore coniugale, nel…
sarebbe interessante aggiungere una valutazione sul comportamento dell'attuale governo