Novena con Santa Teresa di Lisieux: la maternità come missione. Settimo giorno

Come può una carmelitana, chiusa dietro una grata, diventare guida per il mondo intero? Il “sì” di Teresa al Carmelo non è una fuga, ma l’inizio di una maternità spirituale sorprendente. Nel settimo giorno della nostra novena, vogliamo imparare con Teresa cosa significa diventare pienamente figlia, sorella e madre. 

Una volta entrata al Carmelo, il cuore missionario di Teresa, assetato di anime, non si spegne. Anzi, proprio tra quelle mura che sembravano limitare i suoi desideri sconfinati, Dio trova modi nuovi e sorprendenti per realizzarli, donando alla sua piccola sposa la più grande soddisfazione e appagando quella sete che l’aveva spinta a varcare la porta del monastero. Sebbene nascosta al mondo, la sua missione diventa concreta e potente quando l’obbedienza le affida due “fratelli” spirituali, due sacerdoti missionari. Per loro non ha parole di sapienza umana, ma le armi invincibili della sua vocazione: “Io non posso che pregare e soffrire”. Dalla sua cella, la sua anima vola con loro nelle missioni lontane, sostenendo con il sacrificio la loro fatica apostolica.

Ma la sua maternità si esercita anche tra le mura del monastero, quando viene nominata maestra delle novizie. È un compito che le costa un “martirio”, perché la costringe a correggere, a notare le imperfezioni, lei che vorrebbe solo scusare e amare. Eppure, accetta questa croce con un unico scopo, rivelando il segreto di ogni vera guida spirituale:

Mai con la grazia di Gesù, ho cercato di attirarmi i loro cuori, ho capito che la mia missione era di condurle a Dio e far loro comprendere che quaggiù, è lei, Madre, il Gesù visibile che devono amare e rispettare. (Ms C 23v)

Infine, per obbedienza alla sua Priora, compie l’atto che renderà la sua “piccola via” un patrimonio per tutta la Chiesa: prende in mano la penna. Non per scrivere di sé, ma per “cantare le misericordie del Signore”. Inizia la stesura della sua autobiografia mettendosi sotto la protezione della Vergine, come racconta lei stessa nelle prime battute degli scritti che hanno rivoluzionato la Chiesa.

Prima di prendere la penna, mi sono inginocchiata davanti alla statua di Maria (quella che ci ha dato tante prove delle materne premure da parte della Regina del Cielo verso la nostra famiglia), l’ho supplicata di guidarmi la mano affinché non tracci una sola riga che non le sia gradita. (Ms A 2r)

La missione di Teresa ci svela un paradosso evangelico: per guidare gli altri, bisogna farsi piccoli. Che sia con i sacerdoti, con le novizie o con i suoi futuri lettori, Teresa non si mette mai al centro. Il suo unico scopo è condurre a Gesù. Non offre la sua sapienza, ma la sua debolezza, affinché sia Dio a operare. Come una vera guida spirituale, non si presenta come una maestra che ha le risposte, ma come una mendicante di luce, una collaboratore di gioia (2Cor 1,24), un’anima che per prima si mette in ascolto di Dio.

La sua preghiera e il suo sacrificio diventano così il “concime” spirituale che nutre il seme della vocazione piantato da Dio nel cuore dei suoi fratelli missionari e delle sue novizie. Non crea il loro cammino, ma con amore si impegna a estirpare le “erbacce” dell’imperfezione e dell’amor proprio, affinché la pianta possa crescere robusta. La sua non è una direzione che risolve i problemi, ma una che custodisce il desiderio di Dio nel cuore degli altri. Aiuta le anime che le sono affidate a leggere la propria storia, anche tra le macerie dei fallimenti, per scorgervi l’opera del Signore.

Ci insegna così che la vera maternità e paternità spirituale non consiste nell’attirare a sé, ma nel farsi memoria vivente di Cristo, per poi quasi scomparire, rendendo gli altri più liberi, più appassionati innamorati di Lui. Chiediamo a lei la grazia di essere anche noi guide che, con la preghiera e l’esempio, non indicano se stessi, ma Colui che è l’unica Via.




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